
Migranti, per i trasferimenti intra-Ue una presunta legittimità
Il giudice italiano non può negare il trasferimento di un migrante ad altro Stato Ue a meno di concrete carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza. Lo chiariscono le Sezioni unite della Cassazione in una sentenza di quasi 60 pagine, la n. 935 depositata il 15 gennaio, di interpretazione del Regolamento Dublino III, in particolare sul punto delle impugnazioni delle decisioni sui trasferimenti dei richiedenti asilo. Un nuovo intervento che va ad aggiungersi a quelli della Corte che, nelle ultime settimane, hanno via via fornito indicazioni sulle prerogative della magistratura in una materia di grande delicatezza.
Il caso
Il caso arrivato alle Sezioni unite è relativo all’impugnazione da parte di un cittadino pakistano del provvedimento del ministero dell’Interno che ne aveva disposto il trasferimento in Austria, Stato di primo ingresso. A venire contestata dalla difesa era tra l’altro la definizione dell’Austria come Paese sicuro, visto che già aveva respinto la richiesta di asilo mentre la situazione pakistana, in particolare quella del distretto di provenienza del migrante, è tale da rendere assai concreto il rischio di trattamenti inumani e violenza generalizzata.
Condivisione dei diritti
Le Sezioni unite osservano innanzitutto che il diritto dell’Unione europea poggia sulla premessa fondamentale secondo la quale ogni Stato membro condivide con tutti gli altri una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda. Una premessa che attesta la fiducia reciproca tra gli Stati membri nel fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti dalla Carta, in primo luogo quello della dignità umana che comprende il divieto di trattamenti inumani o degradanti.
Fiducia reciproca
In questo contesto, il principio della fiducia reciproca impone a ogni Stato di ritenere che, tranne in circostanze eccezionali, tutti gli altri Stati membri rispettano il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti. E allora, nell’ambito di un sistema europeo comune di asilo si deve presumere, sottolinea la sentenza, che il trattamento riservato ai richiedenti protezione internazionale in ogni Stato membro è conforme a quanto previsto dalla Carta, dalla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951 e alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950.
I rimedi
Tuttavia, non si può escludere che questo sistema di reciproco riconoscimento possa incontrare gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro. Potrebbe allora concretizzarsi il grave rischio che richiedenti protezione internazionale siano, in caso di trasferimento, trattati in modo incompatibile con i loro diritti fondamentali: in questo caso il giudice investito di un ricorso contro una decisione di trasferimento, se dispone di elementi prodotti dall’interessato per dimostrare l’esistenza del pericolo, è tenuto a valutare, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati, e alla luce del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate o che colpiscono determinati gruppi di persone.
Fonte: Il Sole 24 Ore