
Moda e lusso cercano il rilancio. L’autunno caldo dei cambi ai vertici e il nodo dei mercati
Se l’inizio di settembre è stato flagellato dalla scomparsa di una pietra miliare della moda mondiale – lo stilista e imprenditore Giorgio Armani, morto a Milano il 4 settembre a 91 anni – il settore non può permettersi, al di là dei giorni del cordoglio, né incertezze né battute d’arresto. La morte di Armani segna la fine di un’epoca: quella del sogno che, nutrito dal talento e da una buona dose di visionarietà, si trasforma in grande impresa mondiale, della piccola azienda che, nel giro di mezzo secolo, diventa un colosso da 2,3 miliardi di euro (ricavi 2024) con business nei settori della moda, del food, dell’ospitalità, del real estate, del beauty. La moda non ha tempo da perdere, perché dopo un anno e mezzo di crisi (che non ha colpito tutti, sia chiaro), è tempo di risalire la china e attivare il rilancio atteso da tutta la filiera. Solo in Italia e solo per il tessile-moda, le aziende coinvolte sono 60mila, con 600mila dipendenti.
Un’estate a due facce, tra eccessi e crisi
L’estate 2025, nel lusso, verrà ricordata come quella di alcuni eccessi: in primis gli anelli di fidanzamento vistosi sfoggiati sui social dalle celebrity – i 9 carati di Taylor Swift, ma soprattutto 40 di Georgina Rodriguez -, a testimonianza del fatto che, nei momenti importanti, chi può non bada a spese né si preoccupa dell’eccessivo “show off” anche in tempi complessi. Poi il debutto sul mercato della linea Beauté di Louis Vuitton: balsami labbra, rossetti e palette (con prezzi che oscillano tra i 140 e i 220 euro) firmati da Pat Mc Grath, la più grade star del make up mondiale – tanto da essere insignita del titolo di Dame dalla Regina Elisabetta II (per ora rimane l’unica).
Ma è stata anche l’estate dell’eterna negoziazione – si attende ancora il parere della Corte Suprema sulla loro legittimità – sui dazi con il made in Italy negli Usa tassato del 15% (e lo Swiss Made, invece, con un balzello del 39%) e, sicuramente, della riflessione: le aziende , con alle spalle un anno e mezzo di sofferenza del settore, i titoli azionari ai minimi degli ultimi 15 anni e una stima di 50 milioni di clienti aspirazionali svaniti sotto il peso dell’aumento dei prezzi, sono state costrette dall’evidenza dei fatti ad affrontare quella che per molti è una crisi strutturale; i consumatori – ad eccezione (forse) di quelli in cima alla piramide, gli Ultra net high worth individuals con un reddito annuo di almeno 30 milioni di euro – impoveriti dall’altamento altalenante dei mercati e poco fiduciosi nella ripresa, hanno dovuto fare scelte che, inevitabilmente, si vedranno riflesse nelle trimestrali dei colossi (e non).
I cambi creativi (in primis da Gucci) e il dopo Armani
Il mese di settembre, nel calendario della moda già di per sé un mese decisivo: nel B2c tende la volata alle vendite invernali con il picco auspicato nella holiday season. Nel B2b sarà cruciale per capire cosa aspettarsi dal 2026, visto che la campagna vendite riguarda le collezioni primavera estate.
L’attenzione corre su più fronti. Il primo è quello della tanto agognata (dai retailer e dai consumatori finali) scossa alla creatività: nel mese che verrà si concretizzeranno diversi importanti cambi ai vertici creativi di alcune delle maison più in vista e di alcune di quelle più in crisi. Solo durante la settimana della moda di Milano gli occhi saranno puntati sui debutti di Dario Vitale da Versace (un primo assaggio, non proprio ben accolto dal pubblico social, si è avuto a Venezia con l’abito indossato da Julia Roberts alla première del film «After the hunt»), di Louise Trotter da Bottega Veneta, Simone Bellotti da Jil Sander e, soprattutto, di Demna da Gucci.
Fonte: Il Sole 24 Ore