Moody’s promuove l’Italia: rating alzato dopo 23 anni
Anche Moody’s ha deciso di alzare il rating del debito pubblico italiano, portandolo a Baa2 (da Baa3) con outlook stabile. La notizia potrebbe sembrare ormai abituale, dopo le sei promozioni già ottenute quest’anno dai BTp, ma la scelta comunicata nella tarda serata dall’agenzia americana ha due particolarità che le danno un sapore “storico”.
Il precedente del 2002
Primo: per reincontrare un upgrade di Moody’s sull’Italia bisogna risalire fino al maggio del 2002, quando il secondo Governo dell’allora 66enne Silvio Berlusconi era in carica da meno di un anno e il debito pubblico era intorno al 106% del Pil, 30 punti sotto i livelli attuali. L’upgrade di ieri, poi, rompe una solida tradizione, in base alla quale Moody’s fa passare almeno 12 mesi tra un miglioramento e l’altro nel giudizio sul debito di un Paese, dal momento che già a maggio l’outlook era stato alzato da stabile a positivo.
Tanto però ha potuto la disciplina di bilancio portata avanti fin qui dal Governo, anche a costo di imporre al ministro dell’Economia Giorgetti una raffica di vertici di maggioranza sulla manovra per trovare l’accordo sugli scarsi margini a disposizione per gli emendamenti dei partiti. La fatica però appare ben ripagata per il titolare dei conti italiani: «Siamo soddisfatti della promozione di Moodys», mette a verbale Giorgetti a caldo rimarcando che si tratta della «prima dopo 23 anni. Un’ulteriore conferma della ritrovata fiducia in questo governo e dunque nell’Italia».
La traiettoria dei bilanci
Proprio l’abituale rigidità dell’agenzia nell’evitare ritocchi al rialzo a catena aveva fin qui frenato le speranze di spuntare un upgrade a questo giro, anche se i confronti portati avanti fino agli ultimi giorni fra gli analisti americani e i vertici del ministero dell’Economia sembravano poter andare in questa direzione. A convincere Moody’s è stata la traiettoria dei bilanci italiani, caratterizzata da un avanzo primario che dopo essersi riaffacciato nel 2024 arriva quest’anno allo 0,9% del Pil (20 miliardi abbondanti) e punta all’1,9% (46,5 miliardi) nel 2028. Questa dinamica, resa possibile da un deficit che già quest’anno resterà per un soffio sotto al 3% del Pil ed è visto scendere al 2,3% alla fine del prossimo triennio, è indispensabile a tenere la rotta di un debito ancora in crescita il prossimo anno, al 137,4% del prodotto, prima di una discesa che dopo un timido avvio nel 2027 dovrebbe farsi più intensa l’anno successivo, portando il rapporto al 136,4%.
Ma la gobba attuale del passivo italiano è figlia dei crediti d’imposta del passato recente, a partire da quel Superbonus che il Governo ha deciso di chiudere fissando per questa via un pilastro della fiducia conquistata sui mercati internazionali: che guardano al futuro prossimo più che al passato, e quindi apprezzano soprattutto l’uscita anticipata dalla procedura Ue per disavanzi eccessivi che toglie ai conti italiani la gabbia da sorvegliato speciale.
Fonte: Il Sole 24 Ore