
Morto Bob Wilson, regista e artista totale
Intanto forma una propria compagnia di teatro sperimentale, intitolandola alla insegnante di danza che gli aveva permesso di vincere la balbuzie attraverso un controllo misurato dei gesti del corpo. Sarà questa “slow motion” a permeare l’estetica che rimarrà in lui costante, misura di qualsiasi azione.
La prima affermazione, con la quale cattura le attenzioni del mondo, sarà in coppia con un altro “outsider”, il caposcuola del minimalismo Philip Glass: il gusto per la ricerca dell’essenziale, del gesto più minuto, in partitura e in scena li accomuna. “Einstein on the Beach” diventa il capolavoro che li afferma, con loro inizia un linguaggio mai prima sperimentato.
È il 1976, al Festival di Avignone, luogo iconico per il teatro e la sperimentazione. Il libretto porta la firma a quattro mani di compositore e regista, la durata di cinque ore, senza interruzione, si impone come gesto radicale, di coinvolgimento del pubblico. Amburgo, Parigi, Belgrado, La Fenice di Venezia, Bruxelles, il Metropolitan di New York chiedono a gran voce di avere lo spettacolo.
Ma nel frattempo Wilson progetta un altro esperimento di teatro di enormi dimensioni, destinato alle Olimpiadi del 1984: dodici ore di performance, poi cancellate per mancanza di fondi. La costruzione di una nuova estetica sembra vacillare, quando è proprio la Scala a chiamare il regista per una sfida di grande impegno: si tratta di portare in scena il “Doctor Faustus” di Giacomo Manzoni. È il 1989 e ancora una volta il forte carattere visivo e totale del regista texano, ormai europeo, conquista un altro luogo simbolico della produzione artistica contemporanea. Il Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 1993, per una installazione di scultura, ne completa l’affermazione, è il tassello finale: l’avanguardia sperimentale di Bob Wilson è diventata linguaggio acquisito.
Negli anni seguenti le sue attività si dividono tra teatro di prosa, dove affronta nota testo di Brecht, Dostoevskij, Heiner Müller, e ritorni costanti ai capisaldi del teatro in musica: “Madama Butterfly” solletica la sua predilezione per il Giappone, “Aida” il piacere dei mondi arcaici, “Le trouvère” la sfida al melodramma, espunto da qualsiasi connotato romantico. Ma saranno i tre titoli monteverdiani alla Scala a rimanere specchio ideale del suo nuovo mondo: in “Orfeo”, “Ritorno di Ulisse in patria” e “Incoronazione di Poppea” l’estetica tanto definita di Bob Wilson, il suo oggettivo senso del bello, diventeranno lo specchio ideale dei primi esperimenti di opera barocca. L’avanguardia e l’antico osavano incontrarsi, e si scoprirono uguali. Il geniale texano aveva vinto la scommessa più ardita.
Fonte: Il Sole 24 Ore