
Navi militari: Fincantieri in pole position per i piani della Marina Usa
Queste ultime hanno favorito, certo, un consistente sviluppo tecnologico (l’America è all’avanguardia sull’elettronica grazie a Lockeed Martin), ma non hanno consentito all’industria a stelle e strisce di garantirsi un’adeguata capacità produttiva “in casa”. Che appare ancora più necessaria alla luce del mutato contesto geopolitico, in cui i teatri di conflitto si moltiplicano, anche a causa dell’attivismo del presidente americano, e cresce l’offensiva via mare di altre potenze, a cominciare dalla Cina, la cui forza emerge chiaramente da un documento, rilasciato ad aprile dal Congresso Usa, “China Naval Modernization: implications for Us Navy Capabilities” (Modernizzazione navale della Cina: implicazioni per le capacità della Marina statunitense).
La minaccia cinese
Da quella analisi si evince chiaramente che la Marina cinese è oggi, di gran lunga, la più estesa tra i Paesi dell’Asia Orientale e, tra il 2015 e il 2020, ha superato quella statunitense per numero di unità di combattimento. Secondo i conteggi effettuati dal Dipartimento della Difesa americano, Pechino vanta attualmente oltre 370 piattaforme, tra cui principali unità di superficie, sottomarini, navi anfibie oceaniche, ma anche navi per la guerra di mine, portaerei e unità ausiliarie di flotta. Un assetto assai variegato, quindi, al quale vanno poi aggiunti oltre 60 pattugliatori classe Houbei dotati di missili antinave (Ascm). E i programmi annunciati nei mesi scorsi parlano di arrivare a 395 navi entro il 2025 e a 435 entro il 2030.
Le preoccupazioni ai piani alti dell’amministrazione Usa
Non stupisce, quindi, che, ai piani alti dell’amministrazione americana, la velocità con cui la Cina sta espandendo la sua flotta, insieme alla capacità produttiva dei suoi cantieri navali, rappresenti un elemento di forte preoccupazione, rispetto al quale, però, la strategia Usa rischia di avere margini di manovra ristretti in virtù dei vincoli appena citati. Senza contare che, a complicare ulteriormente il quadro, c’è la possibilità che Pechino possa convertire in ambito militare anche parte della capacità produttiva navale civile che ha consolidato nell’ultimo decennio.
Lo sbarco di Fincantieri negli Usa nel 2008
Da qui, dunque, la necessità per Washington di ricostruire una solida base industriale nazionale sfruttando le carte a disposizione. Tra le quali figura, per l’appunto, Fincantieri che rappresenta oggi un asset chiave nella capacità produttiva americana.
Prova ne è il grande lavoro portato avanti dal gruppo italiano che, vale la pena di ricordarlo, sbarcò negli Usa nel 2008 rilevando Manitowoc Marine Group (MMG), allora uno dei principali costruttori navali americani di medie dimensioni, con all’attivo alcuni grandi clienti governativi (tra cui la Marina e la Guardia Costiera statunitensi) e due cantieri nel Wisconsin – Marinette Marine Corporation (a Marinette, focalizzato nella costruzione di navi militari) e Bay Shipbuilding Company (a Sturgeon Bay, per la costruzione di navi commerciali e riparazioni) – oltre a uno stabilimento per riparazioni a Cleveland (Ohio).
Fonte: Il Sole 24 Ore