Nel carrello della spesa degli italiani cibi in promozione e confezioni più piccole

Toccateci tutto ma non il cibo: benché il 96% abbia dovuto ripensare l’approccio alla spesa di largo consumo, gli italiani sul food non mollano. Solo uno su tre si dichiara preoccupato per l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari rispetto al 37% della media europea. E si tratta dell’unico dei cinque fronti critici indagati da NIQ & GfK – la società leader mondiale nella consumer intelligence – in cui gli italiani esprimono meno ansie rispetto alla media dei cittadini europei.
Siamo, invece, decisamente più angustiati dall’aumento delle bollette (32% contro il 25% della media Ue), dall’escalation di conflitti e crisi globali (21% contro 18%), dalla recessione economica (19% contro 14%) e dai temi ambientali (17% contro 11%).

Ma come coniugare l’aumento dell’11,3% dell’inflazione e il calo del 7,3% del potere d’acquisto (di cui abbiamo il triste primato in Europa) con l’amore per la buona tavola? Diventando sempre più cherry pickler, dicono le rilevazioni di NIQ: ossia approfittando delle promozioni (50% degli italiani, dieci punti in più della media europea), e tenendo sotto controllo l’entità dello scontrino (31%). Il risultato nei fatti? Carrelli più leggeri (-6,5% il numero medio di prodotti), con confezioni più piccole, con meno grandi marche e più private label, meno specialità premium a favore di prodotti più convenienti.

e si spinge di meno fino ai prodotti quelli più economici. L’impoverimento del carrello della spesa ha avuto un impatto maggiore sulla parte più fragile della società italiana. Si tratta, in particolare, di quel 30% di famiglie giovani e con figli: immerse nelle necessità della contingenza quotidiana e alla ricerca di alimenti pratici ma anche gratificanti, hanno subìto in modo più marcato l’aumento dei prezzi e l’impatto dell’inflazione.
Ma restano gli acquirenti più legati ai top brand, che mostrano di saper interpretare al meglio i loro bisogni. Invece le private label mostrano una presenza maggiore nelle famiglie mature (44,2%), le più resilienti alla crisi e anche quelle più attente a una spesa di qualità e improntata alla salute (alto consumo di ortofrutta).

Nel mezzo c’è quel 25,8% di famiglie senza figli sotto i 24 anni: sono le trend setter che sostengono i fenomeni di moda, come gli alimenti con meno zuccheri, quelli proteici e quelli plant based. Tre tipologie di famiglie, diverse anche nelle esigenze da soddisfare, e che richiedono un approccio nuovo agli operatori del largo consumo.

«Retailer e produttori devono mettere a fattore comune le loro conoscenze per mettere al centro il consumatore e segmentarlo in base al suo profilo socio-economico» spiega Enzo Frasio, amministratore delegato per l’Italia di NIQ e GfK, la società di ricerche che, unendo i data asset delle due società e quello di Sinottica, offre una visione completa e allargata del largo consumo in Italia. «Anche le marche devono cambiare – aggiunge Frasio – perché i consumatori sono più informati ma anche più disorientati, cercano nuovi punti di ancoraggio e chiedono di più ai brand. Questi ultimi devono prendere posizione e impegnarsi concretamente nella sostenibilità sociale ed economica, da affiancare a quella ambientale, ormai considerata un pre-requisito da parte dei consumatori».

Fonte: Il Sole 24 Ore