
Nero impeccabile e profondo per Armani Privé, per Chanel sobrietà di transizione
La couture che sfila in questi giorni a Parigi è prevalentemente nera, e comunque sobria. Giorgio Armani, ormai guarito ma comunque non presente in città su consiglio cautelativo dei medici, dichiara da remoto a proposito di Armani Privé: «Il nero è, per un designer, il più classico dei colori e allo stesso tempo la prova più difficile. Quando lavori con il nero non ti puoi permettere di sbagliare: ogni dettaglio deve essere perfetto, perché il nero mette in evidenza l’essenza di un abito. In questa collezione mi sono concentrato sul nero per esaltarne l’allure notturna e seducente nel valzer infinito di maschile e femminile. Ho immaginato silhouette lunghe, assolute, che in passerella si muovono come segni di inchiostro e che brillano in modo discreto, senza accecare».
La prova è una nuova e rassicurante espressione del magnifico spirito di sintesi che fa di Armani, Armani. Non tutto è privo di colore, non tutto è grafico e assoluto – le divagazioni in territori di esotismo sognante sono numerose – ma è al nero – da solo o tagliato dal platino, sempre brillante, ricamato, scintillante – che viene affidato il messaggio. Ancora una volta, Armani oppone e concilia maschile e femminile, contrapponendo garçonne in frac e smoking a sciantose in lunghi fourreaux a sirena. Non c’è una sola sbavatura. La mano del maestro si sente su ogni cosa. Conclude: «Se sono arrivato fino a qui è per la concentrazione ferrea e l’attenzione maniacale con cui controllo tutto. Lo sto facendo anche adesso. Pur non essendo a Parigi ho seguito e curato da remoto, in collegamento video, ogni aspetto della sfilata, dai fitting alla sequenza e al trucco. Quel che si vede ha la mia approvazione e la mia firma».
Da Chanel, per l’ultima volta, è il Creation Studio a concepire la sfilata prima dell’inizio del nuovo corso ad opera di Matthieu Blazy, previsto con il prêt-à-porter di inizio ottobre. È l’ennesima prova di un lungo e organico passaggio di consegne, ma i venti del cambiamento spirano già: le linee sono più asciutte, la allure più dura, le frivolezze sono domate dal prevalere dei tweed che si fanno più decisamente maschili, quasi rustici e campagnoli, mentre dall’inizio alla fine sono alti e robusti stivali a segnare il passo, anche con i pochi abiti drappeggiati e languidi.
Il breve testo che presenta la collezione la descrive come pastorale, understated, raffinata, e in effetti si potrebbe parlare di un tono di espressione grave, di una pervasiva sobrietà. Non tutto funziona, ma l’arrivo del direttore creativo imporrà finalmente un deciso e univoco punto di vista. La tabula rasa, intanto, è sana.
Fonte: Il Sole 24 Ore