Niente permesso per ragioni familiari ai detenuti impegnati a teatro

Niente permesso per ragioni familiari ai detenuti impegnati a teatro

Il magistrato di sorveglianza non può concedere il cosiddetto permesso di necessità ai detenuti che fanno parte di una compagnia teatrale, per partecipare a uno spettacolo nell’ambito di un progetto di risocializzazione. La Cassazione, con una serie di sentenze, ha accoltoi ricorsi della procura, contro il via libera, dato dal magistrato di sorveglianza e avallato dal Tribunale, ad alcuni detenuti chiamati a esibirsi in un teatro all’esterno dell’istituto di pena.

Un ok che era arrivato malgrado il parere negativo della Direzione distrettuale antimafia, che aveva fatto pesare il mancato ravvedimento di alcuni, con pene già scontate, per reati ostativi.

La possibilità di estendere il permesso

Per i giudici che avevano detto sì alla recita fuori dalle mura, non c’erano, infatti, rischi per la sicurezza grazie alla presenza della scorta della polizia penitenziaria. Sia il magistrato di sorveglianza sia il Tribunale avevano affermato la possibilità di estendere il permesso, previsto dall’articolo 30 dell’ordinamento penitenziario, concesso per esigenze familiari, anche a quelle specifiche trattamentali. Una decisione, ad avviso dei giudici, in linea con la finalità di umanizzazione della pena. Perché l’attività teatrale, seguita con passione nel carcere, è tale da incidere in maniera rilevante nella rieducazione e risocializzazione.

Ma per la Suprema corte è solo una forzatura. Concedere alle persone, che non sono nella condizione di fruire dei permessi-premio, la possibilità di avvalersi di quelli limitati a motivi familiari, vuol dire disapplicare una norma, disegnata per tutelare le esigenze del nucleo affettivo. Laconclusione, rigorosa, è che non può essere applicata al di fuori dei casi specificamente descritti dal legislatore.

Fonte: Il Sole 24 Ore