No al carcere per il minore se c’è un vissuto di estremo disagio

No al carcere per il minore se c’è un vissuto di estremo disagio

Aveva tentato di uccidere la madre, ospite con il ragazzo e altri tre fratelli minori di una casa di accoglienza. I media avevano parlato di un raptus di follia, per la Cassazione, che accoglie il ricorso del legale del minore, contro la custodia cautelare in carcere, va valutato invece il contesto di estremo disagio familiare in cui l’atto era maturato e che aveva portato alla sospensione della potestà per entrambi i genitori. Per la Suprema corte ad un minore incensurato, malgrado l’accertata pericolosità sociale, deve essere concessa in un’ottica di recupero, la chance di evitare il carcere. Il sedicenne, nella notte del 25 marzo scorso, aveva preso un coltello nella cucina della struttura dove era ospitato con la madre e i fratelli e, al termine di un’accesa lite, aveva accoltellato al torace e alle spalle la madre, di origine pakistana. Un’aggressione che non aveva avuto un esito fatale solo grazie all’intervento di altre persone che vivevano all’interno dell’istituto. La Suprema corte, pur confermando il tentato omicidio e la estrema pericolosità sociale del ricorrente vista l’aggressività dimostrata, sposta l’attenzione sul suo vissuto e sulle ragioni che lo hanno spinto a commettere un reato così grave.

Il Codice del processo minorile e le misure alternative

Un “internamento” con i suoi fratelli più piccoli in una casa di accoglienza che aveva avuto esiti assolutamente negativi. Il profondo senso di ingiustizia provato per l’allontanamento dal padre, considerato dal giovane non responsabile dei gravi contrasti tra i genitori, entrambi sospesi dalla patria potestà per le reciproche denunce e per l’inadeguatezza a prendersi cura dei figli minori, poco più che bambini, vissuti in una situazione di estremo disagio. “Condizioni personali e familiari che avevano determinato il minore – si legge nella sentenza – ad aggredire la madre” che dovevano essere valutate rigorosamente ai fini dell’azione di misure meno restrittive. Ad consigliarlo c’era l’incensuratezza del ragazzo, e lo stesso Dpr 448/1988 sul processo minorile che, con l’articolo 20 punta a privilegiare un percorso educativo, favorendo l’adozione di misure alternative al carcere. Nello specifico c’era anche la disponibilità di familiari ad accogliere il giovane, che non avrebbe così vissuto nè con il padre nè con la madre. Una via, quella delle misure alternative, che va percorsa – avverte la Cassazione – per rendere concrete le prospettive di recupero degli under 18, anche in casi, come quello esaminato, in cui è manifesta la pericolosità sociale.

Fonte: Il Sole 24 Ore