No alla class action contro la Pa senza preventivi standard di qualità

Di qui l’appello al Consiglio di Stato: per le ricorrenti, il Tar non avrebbe interpretato correttamente le norme sulla class action pubblica, né compreso che l’azione era stata esercitata con riferimento agli «standard qualitativi insiti ex lege nella definizione stessa di beni destinati al servizio ferroviario». La stazione, infatti, non sarebbe solo un luogo di transito, ma dovrebbe offrire spazi per consentire ai cittadini di attendere le coincidenze e affrontare ritardi e cancellazioni. Quindi, rivolgendosi al giudice amministrativo, le ricorrenti avrebbero chiesto di correggere il comportamento dei gestori della Stazione Centrale per riallinearlo al vincolo di destinazione fissato dalla legge (articolo 15, legge 210/1985).

La decisione

I giudici del Consiglio di Stato ricordano che la class action pubblica consente ai titolari di interessi omogenei (appunto, utenti e consumatori), di agire in giudizio nei confronti della Pa e dei concessionari di servizi, che abbiano leso i loro interessi. Rivolgendosi ai Tar, gli utenti possono far ripristinare i livelli di efficienza e di buon andamento, stimolando poteri di vigilanza, controllo e anche sanzionatori. Se vi sono impegni precisi (come Carte dei servizi), si può chiedere al giudice di accertare eventuali inadempimenti e di provvedere in via di urgenza; stessa procedura si può attivare quando si violano standard qualitativi.

Nella Stazione Centrale di Milano, i beni ferroviari sono affidati in gestione a una società per azioni (Grandi Stazioni), e la presenza di attività commerciali privatistiche è aumentata (a scapito di spazi pubblici di attesa), anche per l’assenza di una “carta dei servizi” e di standard qualitativi definiti.

Per il Consiglio di Stato, quindi, mancano i «presupposti oggettivi» della class action pubblica, perché l’azione per la violazione degli standard qualitativi presuppone la presenza di una definizione dei livelli qualitativi ed economici. Per i concessionari dei servizi pubblici, i livelli qualitativi ed economici devono essere stabiliti dalle Autorità preposte alla regolazione del settore: nel caso delle stazioni, dall’Autorità di regolazione dei trasporti.

I giudici riconoscono quindi i diritti dei pendolari, ma si dichiarano incompetenti a provvedere con rimedi specifici, finchè mancheranno parametri di qualità da osservare (in concreto, finchè non saranno definite le proporzioni tra “spazi per l’utenza” e “spazi produttivi”).

Fonte: Il Sole 24 Ore