No all’estradizione di migranti senza legami familiari nel paese d’origine o a rischio di fragilità economica

No all’estradizione di migranti senza legami familiari nel paese d’origine o a rischio di fragilità economica

Anche se il grado di integrazione raggiunto nel paese di accoglienza è imperfetto, non può essere estradato lo straniero privo di legami sia parentali sia sociali nel suo paese di origine e in cui gli sarebbe difficile trovare perfino un lavoro. Il rimpatrio violerebbe i diritti fondamentali alla dignità personale e al rispetto della vita privata e familiare, mettendolo in una condizione peggiore di quella raggiunta nel paese di accoglienza.

La Prima sezione civile della Cassazione, con l’ordinanza 29676/2025, ha chiarito che il rimpatrio di uno straniero non può essere disposto qualora sussistano condizioni di vulnerabilità che comportino una violazione dei diritti fondamentali alla vita privata e familiare, tutelati dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In particolare, deve essere valutata la situazione specifica: oltre all’assenza di legami familiari e sociali nel paese d’origine, la possibilità di garantire un’esistenza dignitosa e il rischio di perdita irreparabile del grado di integrazione raggiunto nel paese in cui ha trovato riparo.

I punti di riferimento della decisione

I giudici hanno fatto riferimento alla sentenza 4455 /2018 che, in tema di protezione umanitaria, ha stabilito come l’integrazione sociale e familiare raggiunta in Italia può costituire un motivo autonomo e sufficiente per il riconoscimento di un permesso di soggiorno. Questa decisione ha elevato il livello di integrazione a criterio rilevante per determinare la vulnerabilità dello straniero, suggerendo che il rimpatrio potrebbe comportare la privazione dei diritti fondamentali, anche al di là delle motivazioni che portano alla protezione internazionale e sussidiaria. E l’ordinanza applica il principio già consolidato secondo cui, in base all’articolo 19, comma 1.1 del Testo unico sull’immigrazione (Dlgs 286/1998), va valutata la situazione specifica di vulnerabilità del richiedente, considerando il confronto con il paese d’origine e accertando se il rimpatrio comporterebbe una violazione dei diritti fondamentali tutelati dalla Cedu.

Si protegge, infatti, il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza e si garantisce che ogni individuo possa mantenere la propria privacy, i rapporti familiari, il luogo di residenza e le comunicazioni, anche se lo Stato può intervenire in circostanze specifiche, purché le misure siano previste dalla legge e necessarie in una società democratica, ad esempio per la sicurezza nazionale o la protezione di altri diritti. L’ordinanza in particolare richiama la normativa vigente, (specialmente l’articolo 19 del Dlgs 286/1998), nella sua versione antecedente alle modifiche introdotte dal Decreto Cutro, ed evidenzia il divieto di espulsione o respingimento verso uno Stato qualora esistano fondati motivi per ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione dei diritti fondamentali.

Fonte: Il Sole 24 Ore