
Noi, donne liberate del ‘68, che responsabilità abbiamo avuto nel Metoo?
Nell’autunno del 1977, a Losanna, la tredicenne Clémence rimane stregata da suo zio, rinomato tombeur des femmes, la cui presenza sembra elettrizzare tutta la famiglia. A 18 anni diviene la sua amante occasionale. Una volta scoperta, la relazione sconvolge i familiari, e a essere messa sotto accusa è Clémence. Così inizia Le indulgenze (Nutrimenti), tredicesimo romanzo della pluripremiata scrittrice ginevrina Pascale Kramer (si potrà ascoltarla a Festivaletteratura domenica 7 settembre, alle 16.30 al Seminario Vescovile), che segue fino ai giorni nostri l’effetto che questa relazione proibita ha su tre generazioni di donne.
Cosa la ha spinta a scegliere questo soggetto?
Sono stata molto marcata dal movimento metoo. Quando è iniziato nel mondo, mi sono detta: sono della stessa generazione degli uomini che sono caduti per effetto del metoo, abbiamo fatto la nostra educazione sentimentale insieme. Allora mi sono chiesta quale fosse la nostra responsabilità di donne, che cosa abbiamo accettato che non dovevamo accettare. Abbiamo infatti molto parlato della responsabilità degli uomini, ma mi interessava capire anche quale fosse quella delle donne. Il libro è ambientato in cinque momenti diversi: inizia dal 1977 e si chiude nel 2023 e l’obiettivo è indagare come è evoluta la sensibilità amorosa delle donne nel corso del tempo. La storia di Clémence con suo zio è il filo condutture attraverso le generazioni. Questa storia viene raccontata per mezzo dello sguardo dei parenti, degli amici, degli insegnanti. Per mezzo delle storie di diverse donne e di come reagiscono alla relazione ho tessuto questa indagine sull’evoluzione del rapporto uomo o donna.
Clémence ha 18 anni quando diviene l’amante di suo zio, è giovanissima ma maggiorenne, non si può parlare di pedofilia. Non si tratta nemmeno di un incesto classico, perché la relazione ce l’ha con lo zio, non con il padre. Pare proprio che la storia sia stata concepita per posizionarsi al limite, al limite di quel che è considerato moralmente accettabile. È stato fatto apposta?
Sì, non volevo scegliere una situazione chiaramente riprensibile, una situazione al limite. Lei è innamorata di suo zio perché è brillante, rappresenta un modo diverso dal suo, è innamorata come può esserlo una bambina, ma comunque a 17 anni va proprio a cercarlo. Non è lui che la cerca, non la seduce. Lui la trova carina, lei gli cade proprio tra le braccia, e lui coglie l’occasione. “Vietato vietare”, era lo slogan di quell’epoca là. Come negli altri miei libri, io sto sulla cresta, non mi interessa giudicare, ma mettermi in una determinata situazione, e metterci il lettore, vedere da dentro quando è inaccettabile. Molte donne trovano che quella descritta è già completamente inaccettabile e questo ho visto che dipende dalle generazioni. Nei miei libri non giudico mai, perché racconto dal punto di vista dei personaggi quel che succede. Ovviamente oriento la camera su alcuni gesti, su alcune cose dette, ma non c’è commento. E l’idea è proprio questa, invitare a riflettere.
Fonte: Il Sole 24 Ore