
Non basta il richiamo al Covid per ottenere una riduzione del canone di affitto
La pandemia ci sembra, per fortuna, lontanissima, ma gli effetti nelle aule di giustizia dello stop coatto alle nostre attività ci sono ancora e sono numerosi. Il caso più frequente riguarda gli affitti commerciali e le liti tra locatori ed esercenti in relazione ai canoni da corrispondere nel periodo di chiusura o riduzione dell’attività. Interessanti in questo senso le conclusioni cui giunge la Cassazione nella sentenza 16113/2025 depositata il 16 giugno.
Il Covid esonera l’affittuario dalla prova dell’inadempimento
In tema di contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita, le disposizioni del Dl 18/2020 (decreto Cura Italia), sono rilevanti se si guarda alla giustificazione dell’inadempimento contrattuale dell’affittuario, attribuendo alle misure anti-Covid la natura di impedimento non prevedibile né superabile con la normale diligenza. Il locatario si può ritenere perciò liberato dall’obbligo di risarcimento del danno e il proprietario dei locali non ha la legittimazione all’azione di risoluzione per inadempimento. Ma attenzione: dal Cura Italia, invece, non discende un automatico diritto a ottenere la riduzione del canone di locazione. Per ottenere tale obiettivo è necessario produrre documenti che comprovino la contrazione dei ricavi.
La riduzione del canone si ottiene con la prova della riduzione dei ricavi
La vicenda riguardava in dettaglio un esercizio commerciale che nel tempo aveva cambiato attività. La società che aveva affittato i locali prima aveva ospitato un negozio di abbigliamento, poi una gioielleria. Non avendo corrisposto il canone, i proprietari aveva agito in giudizio, ma non si era conclusa la procedura di convalida di sfratto perchè i locali erano stati poi lasciati autonomamente.
Restava da risolvere il tema dei canoni non corrisposti. La società affittuaria aveva richiamato a giustificazione del proprio inadempimento contrattuale genericamente il decreto Cura Italia e la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta del contratto, rimedio posto a tutela del debitore nei contratti a esecuzione continuata o periodica, contro il rischio di un eccezionale aggravio della sua prestazione dovuto a eventi straordinari e imprevedibili, per effetto dei quali si è determinata una sopravvenuta sproporzione tra le corrispettive prestazioni, sicché una non risulta più sufficientemente remunerata dall’altra.
Non sufficiente il richiamo al decreto Cura Italia
Il problema è che la società non aveva prodotto documenti di alcun tipo idonei a provare la contrazione di ricavi in conseguenza delle chiusure degli esercizi disposte nel corso del 2020. Non aveva – scrivono i giudici di legittimità – «neppure indicato quale attività svolgesse nei locali nel periodo pandemico». In conclusione ricorso rigetto e società condannata a versare anche le spese di giudizio. Non poteva bastare il richiamo alla norma speciale del decreto Cura Italia.
Fonte: Il Sole 24 Ore