Non è stalking se la relazione possessiva la vuole lei

No alla condanna per stalking se gli atti persecutori sono stati commessi nell’ambito di una relazione che la stessa vittima voleva improntata alla possessività. La Cassazione ha così annullato, con rinvio alla Corte d’Appello, la condanna per stalking nei confronti di un giovane, classe ’99, considerando poco credibili i racconti della sua fidanzata. I giudici nel chiedere un giudizio bis, valorizzano alcuni elementi indicativi di un rapporto “malato”, indotto dalla donna. Per la Suprema corte il possibile accordo con la vittima poteva emergere da alcuni messaggi, che questa aveva inviato al suo fidanzato, con i quali lo esortava a fare in modo che la loro relazione apparisse violenta. Per la ragazza erano i social il canale sul quale il giovane doveva esprimersi in modo brutale nei suoi confronti per mostrare tutta la sua gelosia. Aspetti cha la corte d’Appello, nel condannare per il reato previsto dall’articolo 612-bis del Codice penale, aveva sottovalutato.

L’uso dei social per simulare la gelosia

Nel mirino dei giudici di legittimità sono finiti gli “inviti” che la parte lesa rivolgeva all’imputato perchè mettesse sul suo profilo Facebook minacce, anche gravi nei suoi confronti, al fine apparente di risultare un partner molto possessivo. Circostanze, sottolinea la Corte, che dovevano essere valutate, anche dal punto di vista cronologico rispetto alle denunce della donna, prima di punire per un reato niente affatto banale. Per la Cassazione è chiaro che questi fatti non giustificano di per sè un’eventuale condotta persecutoria. Ma non è stata logica la conclusione della Corte d’Appello che aveva sottovalutato i messaggi inequivoci di lei, solo perché alcune espressioni indicative della gelosia, oltre che veicolate sui social erano state rivolte anche ad amici della ragazza. Secondo la Cassazione in entrambi i casi si trattava, infatti, di <modalità rappresentative di una relazione possessiva che era stata, almeno in alcuni momenti, auspicata dalla persona offesa>. La cui credibilità è stata dunque messa in dubbio.

Fonte: Il Sole 24 Ore