
Non si placa la moda degli orange wine (o macerati) ma cosa sono in realtà?
Alle mode non si comanda: il vino non fa eccezione e a periodi si ritrova anch’esso nella sua passerella prêt-à-porter. L’ultima esibizione di un trend parecchio diffuso è quella degli Orange Wine. Vediamo di capire di che si tratta. Con leggerezza e un approccio più laico possibile giacché, in effetti, non sono in cima alle mie preferenze.
L’etichetta l’hanno inventata gli americani – con la solita fantasia cromatica – anche se io preferisco chiamarli macerati, perché di questo si tratta: vini bianchi prodotti con lunga macerazione sulle bucce. Il risultato? Quando li bevi, riconosci e distingui più il metodo (la tecnica) che non il vitigno o il territorio. Un po’ come certe borse griffate dove il logo sovrasta la qualità del materiale. Aggiungo – per inciso e a costo di ripetermi – che i vini che facevano in casa i nostri nonni erano un po’ quella roba lì; non si tratta quindi esattamente di un’invenzione hipster.
La storia infatti è antica, anzi millenaria. Nel Caucaso vinificavano così già migliaia di anni fa: macerare serviva a conservare meglio il vino, grazie ai polifenoli e ai tannini delle bucce, riconosciuti conservanti naturali. Perché allora rispolverarli oggi? In parte perché negli anni Novanta alcuni pionieri (Gravner e Radikon su tutti) in zona Oslavia, hanno deciso di mettersi alla prova scegliendo un approccio radicale, spesso legato al biologico e al biodinamico. Una filosofia produttiva che guarda indietro per andare avanti. Nell’epoca attuale valgono anche come pretesti per affermare: “io non bevo, sperimento”! Passatemi il frizzo, ma l’idea mi fa simpatia.
Il prolungato contatto con le bucce regala al vino quel color tè freddo e, soprattutto, una trama tannica inaspettata per un bianco. Al naso e in bocca risultano tutti un po’ piatti – a mio avviso – molto simili fra loro, abbastanza omologati diciamo, seppur con ampiezza, persistenza e abbastanza volume e corpo. Solo nei casi in cui l’affinamento avviene in anfora di terracotta trovo il tema più completo e interessante, soprattutto quando gioca la partita del tempo, dell’invecchiamento. Tuttavia, non è sempre così!
Un dettaglio che tengo a precisare riguarda la temperatura di servizio. Mediamente vengono proposti a 16-18 gradi. Nel mio caso – quando proprio capitano nel bicchiere – i vini con lunghe macerazioni dispiacciono meno se serviti più freschi. Ma qui entriamo nel campo del gusto personale e va bene così.
Fonte: Il Sole 24 Ore