Non solo vino, i dazi Usa colpiscono al 15% anche l’olio

Non solo vino, i dazi Usa colpiscono al 15% anche l’olio

Non solo il vino, anche l’olio di oliva è finito sotto la scure dei dazi. La firma della dichiarazione congiunta, che ha messo nero su bianco l’accordo politico raggiunto il 27 luglio in Scozia dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal presidente americano Donald Trump, è stata un duro colpo per le imprese di settore: l’intesa definisce un tetto massimo del 15% per la gran parte delle esportazioni europee verso gli Usa, sostituendo il regime precedente fatto di dazi cumulativi e spesso più pesanti. Un «compromesso al ribasso», per il presidente della Copagri Tommaso Battista, che genera un clima di profonda insoddisfazione nel settore «per l’agroalimentare in generale, per il vino, il pecorino e per l’olio d’oliva, in particolare» dice Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare.

I rischi legati alla debolezza del dollaro

Tuttavia se i dazi al 15% sono da considerarsi ancora sostenibili, a preoccupare di più sono i rischi legati alla debolezza del dollaro e dell’inflazione proprio a causa dei dazi. Per l’Italia, gli Stati Uniti sono un mercato fondamentale. A livello mondiale, infatti, gli Usa rappresentano il maggior acquirente di olio d’oliva: per rispondere alla domanda dei consumatori americani, sempre più attenti alla salute, sono obbligati a importare il 95% dell’olio d’oliva di cui hanno bisogno. «Proprio le qualità salutistiche dell’olio d’oliva dovrebbero essere riconosciute dagli States, inserendo questa spremuta di benessere nella lista dei prodotti esenti dai dazi», osserva Anna Cane, presidente del Gruppo olio d’oliva di Assitol, sottolineando che gli States sono anche il secondo consumatore al mondo di questo prodotto, con una media di circa 370mila tonnellate l’anno. «Entro il 2030 potrebbero superare addirittura i consumi dell’Italia».

Per l’olio con i dazi costo aggiuntivo oltre 140 milioni

Gli Usa rappresentano il principale mercato extra-Ue per l’agroalimentare italiano, con un valore che nel 2024 ha sfiorato gli 8 miliardi di euro. E se il prodotto più colpito sarà il vino, prima voce dell’export, che secondo la Coldiretti subirà dazi per un impatto di oltre 290 milioni, (cifra che rischia di salire ulteriormente in base all’andamento del dollaro), subito dopo c’è l’olio extravergine di oliva, dove i dazi porteranno un costo aggiuntivo superiore a 140 milioni. Segue la pasta di semola, con quasi 74 milioni di euro in più. Stabili invece i formaggi, già gravati da dazi tra il 10% e il 15%.

A giugno -2,9% export agroalimentare negli Usa

A preoccupare, per Coldiretti e Filiera Italia, è il trend registrato nei primi tre mesi di applicazione dei dazi aggiuntivi al 10%, che hanno inciso negativamente sull’export agroalimentare italiano verso gli Usa. A giugno le vendite di cibo Made in Italy in America hanno segnato un calo del 2,9% in valore, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat del commercio estero

Fonte: Il Sole 24 Ore