
Nuovo cinema nostalgia (di epoche mai vissute)
Capire perché un manipolo di ragazzi con il mullet e le orecchie zeppe di palline e cerchietti di metallo si inghiotta nel buio di una sala per vedere un film realizzato parecchi decenni prima è un esercizio di congetture o di filosofia spiccia magari, ma necessario. Che cos’hanno quei ragazzi con i pantaloni ampi alla ottomana o i jeans fino al vertice della vita in comune con coppie o singoli agée del cosiddetto ceto medio riflessivo davanti allo schermo di Scarface quarant’anni dopo la sua uscita? La nostalgia. Per i primi, è desiderio pungente di epoche che non hanno vissuto, ma considerano mitiche e formative per gli ideali che le hanno forgiate. Amano i giradischi e i mangia cassette, i vinili, le canzoni di De André e dei Beatles. Approcciano un’era in cui il culto del nuovo e della produttività a ogni costo era solo puberale e forse un gioco, non una gogna. Per i secondi, si tratta di voglia di tornare a ciò che non esiste più, un periodo in cui il cinema era un appuntamento usuale del fine settimana o una tana in cui buttarsi in momenti agnostici. Un sentimento dolceamaro di rievocazione e sicurezza.
L’importanza del corpo davanti al grande schermo
Sono naturalmente i ragazzi a essere più interessanti in questa volontà di avvicinarsi al grande schermo per scoprire i titoli del passato, che con cadenza quasi settimanale sono riproposti nel cinema. Non che questo sia un fenomeno nuovo, ma la fruizione, spesso slegata da ricorrenze, ha nuove sfumature. Il cinema, in quanto arte poco più che centenaria, è sempre stato un terreno di scoperta. Invecchiando, per i più giovani diventa fonte storica, di conoscenza di pellicole con contenuti diversi da quelle di oggi, più votate all’estetica, alla spettacolarizzazione, all’intrattenimento. Sicuramente un’ancora in un mondo che sta cambiando velocemente, soprattutto nel lavoro, e un luogo di aggregazione. Il grande schermo per i cult diventa una forma di resistenza all’imperio delle piattaforme, la cui fruibilità su piccoli o piccolissimi device è diventata un boomerang. Sono nati ad Amsterdam, Berlino, Londra, Parigi, Milano e Barcellona gli offline club, spazi dedicati alla socialità senza schermi, dove sono banditi i cellulari e la convivialità è fatta di giochi da tavolo e di libri da leggere nel conforto della presenza altrui. Si diffondono anche i bookclub, in cui a cena si parla di un titolo che il circolo di amici si è “imposto” come lettura del mese. Se le serie tivù fossero proiettate sul grande schermo, i ragazzi andrebbero a vederle lì, come evento utile anche per separare la realtà dalla finzione attraverso la collettività, perché il problema di alcuni giovani, oggi, è che a volte si confondono, non sanno bene se un’esperienza l’hanno vissuta veramente o l’hanno vista in una serie sul piccolo schermo. Non tornerà più l’epoca d’oro pretelevisiva del cinema, ma ci sarà un “mercato” di nicchia, forte e consapevole, vissuto in maniera diversa da due fasce di pubblico: nativi digitali e non.
Il ritorno di «Scarface»
Qualcosa di nuovo si è percepito ad aprile dell’anno scorso, quando Scarface è tornato in sala dopo 40 anni. Con la sceneggiatura di Oliver Stone e Al Pacino nei panni del delinquente Tony Montana, da flop all’esordio è diventato un cult. Chi scrive è andato a mettere il naso in sala: molti dei ragazzi commentavano sorpresi che Montana portasse già allora il taglio sul sopracciglio, che mima una cicatrice da lotta urbana e che va così di moda adesso. Il buzz cut, i capelli rasati al millimetro, molto diffuso tra i ragazzi, lo hanno visto su tutti i protagonisti di Full Metal Jacket, nei cinema nell’ottobre scorso. Chi è vissuto ai tempi della naja obbligatoria lo ricorda, ma per i giovani l’esercito evoca solo scenari di guerra. C’è da dire che il modo di abbigliarsi o di portare i capelli non ha più alcuna valenza politica. I grandi marchi hanno masticato, rielaborandoli secondo i crismi del lusso, quelli che erano stati segni di protesta contro la società: il chiodo e le borchie punk, gli anfibi e le scarpe grosse da minatore dei frequentatori dei centri sociali, la mimetica di chi stava di solito a destra. Lo stesso per i tatuaggi, una volta simbolo di appartenenza a un certo ambiente marginale o sotterraneo, ora sono pura moda e probabilmente l’unica cosa duratura che i giovani si possono permettere (non la casa, non la macchina, tanto che non prendono la patente).Niente si inventa davvero, ci insegna il cinema, nemmeno l’alienazione da telefonino: ci aveva già avvertito Charlie Chaplin in Tempi moderni o Metropolis di Fritz Lang. La nevrosi che serpeggia oggi tra la gente era presente già in tutti i film di Cassavetes negli anni Sessanta. Il femminismo cinematografico non è nato con Céline Sciamma, era radicale già ai tempi di Agnès Varda e Chantal Akerman. È stato curioso vedere quanti ragazzi c’erano per l’omaggio che la cineteca di Milano ha dedicato alla regista franco-belga. Simile era il pubblico giovanile anche per Shining, vero pane per i nativi digitali: più lontani dal corpo di noi, ma non per questo meno sensibili, si gustano l’horror con una risata.
Il ritorno dei film di David Lynch
In queste ultime settimane al cinema si trovano di nuovo i capolavori di David Lynch. Dal 16 giugno ritorna Elephant man del 1980, uno dei film più pietosi verso gli ultimi senza appello. Insieme, ci sarà anche Arancia Meccanica, ovvero la violenza giovanile estrema nel 1971, ora che gridiamo costantemente al ragazzo-mostro, perché non ci ricordiamo di Maso, di Erika e Omar o dell’omicidio del 16enne Giacomo Valent da parte di due coetani nel 1985 perché «era uno sporco negro». L’omaggio a Lynch è sicuramente quasi “obbligatorio” dopo la sua recente scomparsa, visto che la tivù, invasa da talk e reality, non adempie quasi più alla funzione commemorativa. Ma come la mettiamo col fatto che in giugno nelle sale, in edizione 4K, ci saranno tre must di Lars von Trier: Dogville, Dancer in the Dark e Le onde del destino?
Il freddo dell’inverno ci ha ridonato Akira Kurosawa (Cane randagio, I sette samurai, Sanjuro e Vivere), l’amatissimo C’era una volta in America di Leone e Il padrino di Coppola. Poi siamo saltati da Interstellar a Pulp Fiction, a In the mood for love e al pazzissimo Amadeus di Milos Forman. I ragazzi che si riappropriano dell’umanità pre digitale sono come gli studenti di Belgrado che vanno a piedi a Bruxelles per manifestare contro l’autoritarismo.
Fonte: Il Sole 24 Ore