Nvidia e il fattore Cina: previste più vendite ma c’è il rischio Taiwan

Nvidia e il fattore Cina: previste più vendite ma c’è il rischio Taiwan

In un simile contesto appare chiaro come Nvidia stia scalpitando per tornare a sedersi al tavolo da gioco dei chip in Cina. Una volontà che consentirà al gruppo di rimettere le lancette dell’orologio a prima dell’inizio della battaglia dei dazi? Gli esperti credono di no. Antoine Chkaiban, analista di New Street Research, ha rimarcato come «la Cina, storicamente, abbia rappresentato il 20-25% del business dei data center di Nvidia». Dopo il “Niet” di Donald Trump sull’H20 la quota è di fatto scesa zero. «Adesso la previsione è che la percentuale possa riprendersi, arrivando a raggiungere il 10-15%. E questo nel lungo periodo». «In effetti – fa da eco Giacomo Calef, Country Manager di NS Partners – non deve scordarsi che gruppi locali, quali Huawei, vanno sviluppando le loro soluzioni ad alta tecnologia. Una concorrenza che giocoforza non permetterà ad Nvidia di tornare alle quote di mercato che aveva solo un anno fa». Inoltre, prosegue Calef, «credo che il beneficio sarà soprattutto sul breve periodo. Più sul lungo, non vedo un così grande upgrade del business nell’ex Regno di Mezzo».

Il nodo di Taiwan

Già, l’ex Regno di mezzo. Quest’ultimo, sempre riguardo al fronte dei processori, costituisce un importante variabile su un altro aspetto: Taiwan. Il gruppo, va ricordato, è “fabless”. Cioè: si appoggia a terzi per la produzione dei processori. Tra questi c’è Tsmc . Com’è noto la società – nonostante la spinta sulla diversificazione geografica (nuovi impianti, ad esempio, negli Usa) – è essenzialmente attiva a Formosa. Cioè: l’isola al centro della dura contesa tra Stati Uniti e Cina. In un simile contesto esiste il rischio che possano crearsi problemi sul fronte della filiera produttiva. Nel 2024-2025, secondo il terminale Bloomberg, il 15,7% dei ricavi di Nvidia è stato generato a Taiwan. Vero, il gruppo ha ridotto la dipendenza dalla produzione localizzata nell’isola. Nel 2016, ad esempio, questo ammontava al 36,8% del totale. Inoltre Tsmc è comunque un fornitore di molte altre grandi società tecnologiche. Quindi, la spada di Damocle pende un po’ sull’intero settore. Ciò detto, però, il problema di fondo rimane anche per l’azienda californiana.

In conclusione, quindi, la Cina rappresenta una variabile rilevante per il business della regina dei chip. Una incognita che può dare (al business) ma allo stesso tempo togliere. Si tratta ci un’ambivalenza che il risparmiatore fai-da-te ha l’obbligo di tenere di conto.

Bilanci e numeri

Così come deve essere considerato l’andamento del bilancio. In generale il giro d’affari e la redditività sono aumentati. Nell’ultimo trimestre la società ha riportato ricavi per 44,06 miliardi di dollari (+69% anno su anno) e un utile netto di 18,77 miliardi (+27% rispetto allo stesso periodo dell’esercizio 2024-2025). In entrambi i casi i numeri – nonostante l’impatto dell’allora presente divieto ad opera di Donald Trump sull’H20 – hanno battuto le stime. Il titolo, in scia alla pubblicazione dei dati, ha guadagnato il 3,25%. Ciò detto, però, è interessante guardare alla dinamica – ad esempio, degli ultimi sei trimestri – sia del fatturato che del margine industriale (gross margin). Cosa salta fuori? Risulta che – di trimestre in trimestre – le voci contabili hanno frenato. In particolare, il gross margin non GAAP, nel primo trimestre del 2024-2025, valeva il 78,9%. Poi, nel secondo e terzo quarter, l’indicatore è sceso rispettivamente al 75,5 e 75%. Infine, dopo avere toccato quota 73,5% due trimestri fa, è atterrato al livello di 60,5% nei primi tre mesi del 2025-2026. Certo! Senza il peso negativo del bando voluto da Washington – e che adesso dovrebbe sparire -il Gross Margin sarebbe stato del 71,3%. E, però, la marginalità ha frenato. Perché, allora, il titolo ha continuato a salire? La risposta è articolata. In primis, il trend strutturale sull’Intelligenza artificiale -unitamente all’idea che Nvidia sia strategicamente ben posizionata – induce gli investitori all’acquisto. Nel momento in cui i dati trimestrali battono le stime – seppure di trimestre in trimestre meno ambiziose – l’opportunità per il “buy” c’è. Soprattutto, se a dominare l’azionario a Wall Strett/Nasdaq è il popolo del retail. Cioè: soggetti -in alcuni casi sofisticati- ma in generale tendenti a seguire il trend. Non solo. Altra causa è di natura tecnica, Quando la capitalizzazione di un’azienda diventa così rilevante, diversi prodotti azionari (Etf) e i portafogli di istituzionali (fondi a benchmark) sono “obbligati” ad acquistare i titoli della società in oggetto. «Ciò considerato, però -tiene a precisare Calef -Nvidia scambia a multipli elevati. Anzi, in un contesto normale il P/e corrente a 52 volte è un “nonsense”. Di conseguenza, la cautela deve essere massima, in quanto – nonostante il gruppo sia solido e ben gestito – l’obbligo è di battere sempre le stime di consensus».

A fronte di un simile scenario può risultare di supporto vedere cosa dice l’analisi tecnica. «Sotto questo aspetto -spiega l’analista indipendente Silvio Bona- il titolo, fino a poco tempo fa, era inserito in una fase laterale». Una «figura a rettangolo “partita” verso la fine di giugno del 2024 e “terminata” il 2 luglio scorso». In quest’ultima seduta «Nvidia ha definitivamente rotto al rialzo la resistenza, diventata supporto, che costituiva il “tetto” del rettangolo medesimo ed era situata in area 154 dollari». Adesso le azioni sono sui massimi storici e, quindi, «ha poco senso dare indicazioni rispetto ad eventuali potenziali target. Ciò che è importante, visto che comunque la resistenza è stata rotta con volumi non elevati, è che il titolo non torni al di sotto dell’area 145-154 dollari. E, questo, per confermare l’ulteriore impostazione rialzista. Al di là di ciò, deve ricordarsi che nell’attuale contesto si è concretizzata la situazione cosiddetta “Make or break”. Cioè, in parole molto semplici, un momento decisivo: o il prezzo, rotto il livello chiave al rialzo, continua a salire, oppure si ferma e ritraccia».

Fonte: Il Sole 24 Ore