Oasis a Edimburgo: due ore di pura gloria sotto il vento scozzese

Oasis a Edimburgo: due ore di pura gloria sotto il vento scozzese

Non si può che essere d’accordo con Irvine Welsh, l’autore di Trainspotting, presente alla prima scozzese del tour degli Oasis, venerdì 8 agosto: «Questo è il momento migliore per vedere gli Oasis. Adesso. Li ho visti molte volte negli anni 90, ma non sono mai stati così straordinari come lo sono ora. Grazie a Liam e Noel per quella dose di meraviglia che ti fa sentire vivo», ha scritto lo scrittore scozzese – una delle voci che più hanno raccontato l’energia beffarda e spaccona degli anni 90 – sul suo profilo Instagram. Tra le migliaia di recensioni, resoconti e post che in queste settimane hanno accompagnato il ritorno della band inglese – dal debutto emozionante di Cardiff alla festa di Manchester, fino alla folla oceanica che ha fatto tremare Wembley – la sua è forse la sintesi più efficace. Anch’io, come Welsh, li ho visti diverse volte negli anni 90. E come lui mi sono sinceramente sentita travolta dalla immensità della loro esibizione: allo Scottish Gas Murrayfield di Edimburgo, lo stadio della nazionale di rugby, non è andato in scena solo un bel concerto nel segno della nostalgia: la potenza travolgente del suono, le voci piene di Liam e Noel, la sintonia tra i fratelli e i musicisti, la sobria maestosità del palco e dei maxi schermi: venerdì sera, sotto il cielo spazzato dal vento della capitale scozzese, non c’è stata una sola sbavatura. Tutto grandioso, come doveva essere, forse ben oltre le aspettative dei 70mila fan che sono riusciti nell’impresa di comprare un biglietto.

La serata è iniziata con l’esibizione dei Cast e il Britpop è stato servito subito. Poi è arrivato Richard Ashcroft, altro simbolo di quella corrente musicale che ha segnato l’ultimo decennio del secolo scorso. Dopo aver cantato Bitter sweet symphony, ha salutato tutti, per lasciare il posto alla «greatest rock’n’roll band in the world»: non che qualcuno dei presenti, sugli spalti e nel parterre, avesse qualche dubbio a riguardo. Poi è iniziata l’attesa. La birra, come doveva essere, scorreva a fiumi: se a Londra sono state vendute 250mila pinte in una sola serata, record storico per Wembley come ha scritto il Times, non credo che a Edimburgo ne siano state spillate molte di meno. Il sottofondo musicale, nel frattempo, cresceva: poco prima dell’arrivo degli Oasis è partita a tutto volume Tam Tam, cover italiana di Come together dei Beatles, realizzata negli anni 60 da un dimenticato gruppo di Romano Canavese: i Rogers. Non ho idea di quanti italiani fossero presenti allo stadio e, tra questi, quanti effettivamente la conoscessero. Non ho nemmeno idea del perché di questa scelta, quantomeno bizzarra: in ogni caso, un grazie a Liam e Noel per questo omaggio agli ultimi della fila del music business. Poi è arrivata Born slippy, colonna sonora di Trainspotting di Danny Boyle (ambientato a Edimburgo) e pezzo cult di una generazione intera: tutti hanno capito che stavano per arrivare. Poco dopo, due auto scure sono spuntate alla sinistra del palco e i fratelli Gallagher sono scesi, sorridenti e salutanti: ehi, siamo qui per farvi fare festa, iniziamo.

E festa è stata. Per due lunghissime, gloriose ore, durante le quali gli Oasis hanno, come nelle altre date, messo in scena il loro best of, in tutti i sensi: Hello, Acquiesce, Morning glory, Some might say, Bring it on down, Cigarettes & alcohol, Fade away, Supersonic, Roll with it, Talk tonigh (cantata da Noel e dedicata a tutte le ladies), Half the world away (questa invece dedicata alla vera Royle Family, omaggio a una famosa sitcom britannica che raccontava la vita di una famiglia della working class di Manchester), Little by little, D’You know what I mean?, Stand by me, Cast no shadow, Slide away, Whatever, Live forever e Rock ’n’ roll star, durante la quale 70mila persone si sono messe a saltare all’unisono. Infine, i bis: The Masterplan, Don’t look back in anger, Wonderwall e Champagne supernova, seguita dallo spettacolo di fuochi d’artificio. Sugli spalti c’erano cinquantenni che piangevano a dirotto, ragazzini che cantavano a squarciagola e bimbetti di dieci anni felici, abbracciati ai genitori. Liam, dal canto suo, ha fatto “Liam” (voce e cappello a parte), polemizzando con il consiglio comunale di Edimburgo, definito “un branco di serpenti” per un rapporto in cui i fan erano stati descritti come una masnada di ubriachi e rumorosi. Ha detto di essere “ancora in attesa di scuse”, rivendicando al contempo l’enorme ritorno economico che la band ha portato in città. E poi sì, tra il pubblico c’era anche una signora di una certa età, visibilmente alterata dall’alcol, che danzava con eccessivo entusiasmo sulle tribune. La security non le ha tolto gli occhi di dosso, ma le ha concesso di scatenarsi a modo suo, perché – che diamine! – è il concerto degli Oasis. Quando ha tentato di baciare la giovane steward in divisa, di origini indiane, la scena è diventata involontariamente il simbolo di ciò che rende unica questa band: la capacità di parlare a un’umanità varia, imperfetta, chiassosa, capace di gesti sgangherati e di emozioni senza filtro, proprio come i fratelli Gallagher, che per anni si sono mandati a quel paese, prima di fare la pace e tornare a cantare insieme. Liam e Noel hanno sempre parlato a queste persone, e di queste persone: nessuna patina glamour, nessuna ambizione di essere a tutti i costi cool, solo inni da stadio e canzoni che dicono che tutti, in fondo, vogliamo “live forever” e goderci un po’ questa breve permanenza sul pianeta Terra. A Edimburgo, per un paio d’ore, semplicemente ci hanno creduto tutti.

Fonte: Il Sole 24 Ore