Olio d’oliva, prezzi in tenuta e raccolto italiano in aumento
Il settore dell’olio d’oliva europeo sta vivendo un ritorno a un trend produttivo nella media, dopo un biennio di offerta ridotta che ha fatto spiccare il volo ai prezzi dell’extravergine arrivati ad oltre i 10 euro al litro. E ora le stime di un rientro nelle medie ha spinto molti nel settore a parlare di un “ritorno alla normalità”. Una normalità sulla quale bisogna però intendersi bene. Il biennio di rincari era stato innescato da due campagne in cui la Spagna, leader mondiale, era stata penalizzata da eventi atmosferici avversi (prima la siccità poi il troppo caldo) che l’avevano spinta a produrre molto al di sotto delle proprie potenzialità, sotto quota un milione di tonnellate.
Quest’estate, si è cominciato a parlare invece per Madrid di un ritorno agli standard con una produzione stimata inizialmente oltre 1,6 milioni di tonnellate. Previsione che secondo Areté, società leader in Italia nel monitoraggio e nell’analisi delle quotazioni delle materie prime agrifood, nel primo semestre del 2025 aveva portato i listini dell’extravergine comunitario a perdere il 45%. Una caduta che immediatamente aveva spinto più di una organizzazione agricola a denunciare il rischio di forti speculazioni sui prezzi. Poi – fortunatamente, sarebbe caso di aggiungere – il caldo estivo ha portato a ridimensionare le stime in Spagna.
Il trend della produzione della campagna 2025-26 sono stati ricordati nei giorni scorsi a Roma in un incontro organizzato da Confagricoltura dalla ricercatrice Ismea, Tiziana Sarnari: «I dati di fonte Coi (Consiglio oleicolo internazionale) – ha spiegato – vedono la Spagna accreditata di una produzione di 1,3 milioni di tonnellate (-3% rispetto allo scorso anno), l’Italia di 300mila (+21%). Ritocco al ribasso per la Tunisia per la quale in un primo momento era stata prevista una produzione superiore alle 400mila tonnellate, non andrà invece oltre quota 270mila riportando così l’Italia al secondo posto tra i principali produttori mondiali. A chiudere la classifica Turchia (290mila), Grecia (245mila), Portogallo (165mila)».
«Uno scenario – ha commentato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – che vede ridimensionarsi il protagonismo a livello mondiale dell’Europa e della Spagna e crescere i paesi Nordafricani che ormai ricoprono più di un terzo della produzione mondiale». In queste condizioni di limatura al ribasso delle stime produttive i listini hanno ripreso slancio. «Le quotazioni del prodotto italiano – hanno aggiunto ad Areté – restano su livelli record (+5% sullo scorso anno) mentre l’extravergine comunitario ha registrato a ottobre un rimbalzo del 14% trainato dai rialzi sui mercati all’origine di Spagna (+17%) e Grecia (+15 per cento)».
La tenuta dei listini è stata così salutata con sollievo sia dagli industriali che dagli olivicoltori. Per tutti, infatti, lo spauracchio da evitare sono le vendite sottocosto. Un fenomeno che negli anni ha danneggiato l’extravergine svalutandolo e facendolo assimilare a una commodity. «A causa di questa spirale perversa – ha commentato la presidente del Gruppo Olio d’oliva di Assitol (l’associazione delle aziende olearie italiane), Anna Cane – assistiamo alla “caccia” al prezzo più basso, ormai divenuto l’unico criterio di scelta dell’extravergine. Una gara che fa torto all’extravergine facendolo percepire come un prodotto dallo scarso valore».
Fonte: Il Sole 24 Ore