
Oro, ennesimo record con l’argento: adesso a trainare sono gli investimenti
Per trovare un rally ancora più impetuoso bisogna risalire al 1979: l’anno della rivoluzione iraniana, fonte di allarme geopolitico e insieme innesco di uno shock petrolifero che scatenò un’inflazione galoppante in quasi tutto il mondo. All’epoca il prezzo nominale dell’oro era quasi quadruplicato, da circa 230 dollari l’oncia all’inizio del 1979 a 850 dollari nel gennaio 1980, salvo poi invertire la marcia per tornare a scambiare intorno a 300 dollari poco più di un anno dopo.
Negli anni ’70 l’oro ha registrato performance superiori a quella del 2025 (che però deve ancora concludersi) anche sull’onda della sospensione degli accordi di Bretton Woods, con cui il presidente Usa Richard Nixon nel 1971 mise fine alla convertibilità del dollaro in oro: nei tre anni successivi il prezzo del lingotto salì del 49%, del 73% e del 66,1%, ricorda Adrian Ash, direttore della ricerca di BullionVault, richiamando l’attenzione anche sull’argento, il cui rally – che si è acceso in ritardo – ha già portato a rincari superiori al 50% da inizio anno.
La domanda non è del tutto insensibile ai rincari. In gioielleria i segnali di frenata dei consumi globali sono evidenti, in particolare nel caso dell’oro, che di recente ha battuto ogni record di prezzo anche in termini reali, ossia depurati dall’inflazione: quel picco di 850 dollari l’oncia di gennaio 1980 equivale oggi a 3.590 dollari.
Persino gli acquisti delle banche centrali, pur continuando ad essere ingenti, hanno rallentato il ritmo. Ma a raccogliere il testimone sono intervenuti gli investitori, che adesso comprano a piene mani soprattutto nel mondo occidentale (e in primo luogo negli Usa).
Il patrimonio globale degli Etf venerdì 17 è salito in un solo giorno dello 0,9%, scrive Bloomberg: un balzo che non si vedeva dal 2022 dell’invasione dell’Ucraina (e delle tensioni inflazionistiche provocate dalla crisi energetica).
Fonte: Il Sole 24 Ore