Orsero, più integrazione con le filiere agricole. Focus sul Nord America

Orsero, più integrazione con le filiere agricole. Focus sul Nord America

Da un lato la futura scommessa, attraverso l’M&A, sul Nord America. Dall’altro la spinta, grazie soprattutto alla leva delle partnership, all’integrazione delle filiere alimentari. Il tutto con il continuo focus su prodotti di qualità e a valore aggiunto. Sono tra le priorità di Orsero a sostegno del business. Già, il business. La multinazionale italiana, di cui la Lettera al Risparmiatore ha incontrato i vertici aziendali, ad oggi ha l’Europa quale centro dell’attività (357,2 milioni di giro d’affari nel primo trimestre del 2025). I ricavi – ben più limitati (22,4 milioni) – al di fuori del Vecchio continente si legano al Messico (produzione/export di avocado) e Costa Rica (supporto all’import di banane ed ananas).

La scommessa Nord America

Ebbene: la situazione è destinata – in parte – a cambiare. Il gruppo punta a definire una presenza diretta in Nord America. L’obiettivo è da concretizzarsi attraverso la crescita per linee esterne. Diversi sono i dossier sul tavolo, con l’identikit del potenziale target contraddistinto da alcune caratteristiche di massima. Dapprima il fatturato: qui l’idea è di aggirarsi nell’area dei 200 milioni di dollari. L’attività di distribuzione – bilanciata tra Gdo e mercati all’ingrosso – dovrà poi, rispetto alle tipologie merceologiche, essere ben diversificata. Ma con una particolare attenzione a prodotti a valore aggiunto e che non siano già nel “catalogo” aziendale. In tal senso è da escludere una realtà, ad esempio, che sia sbilanciata sull’avocado (che Orsero esporta dal Messico verso gli Usa). Inoltre sono scartati i turnaround. Anzi! Il gruppo italiano punta ad un’operazione accrescitiva sul fronte dell’Ebitda margin. Infine: la tempistica. Qui Orsero dà nessuna indicazione. Ciononostante – visto il momento propizio per operazioni strategiche e industriali in scia alla debolezza della concorrenza da parte del private equity – non è da escludere -nel momento in cui si presentassero le giuste condizioni – una mossa nello stesso 2025. Ma non è solamente questione di maggiore articolazione internazionale. Altra priorità, per l’appunto, è l’incremento nell’integrazione delle filiere produttive. Un esempio, in tal senso, è la recente partnership tra Hermanos Fernández Lopez – società spagnola del gruppo– e la Cooperativas Unidas de la Palma (“Cupalma”) nell’ambito del platano canario. L’accordo, da una parte, consente ai produttori di Cupalma di avere a disposizione l’infrastruttura spagnola di Orsero (dalla maturazione alla distribuzione); e, dall’altra, permette alla stessa Orsero – unitamente al consolidamento dei rapporti commerciali – di avere un più elevato controllo sul prodotto e, quindi, di continuare lungo la strada dell’offerta a valore aggiunto. La singola recente operazione, è la plastica dimostrazione dell’obiettivo d’incrementare il giro d’affari generato da simili contesti. Ad oggi, i ricavi riconducibili ad una più alta integrazione nella filiera produttiva sono circa il 40% del totale. L’obiettivo? Arrivare – in un ambito ideale – intorno al 70% delle vendite consolidate. Il restante 30% – oggetto dell’attività cosiddetta di trading – è, invece, considerata la soglia minima necessaria al fine di mantenere la sufficiente flessibilità al business di fronte alla continua volatilità del mercato.

Offerta a valore aggiunto

Fin qui alcune suggestioni riguardo al probabile shopping e alle filiere agricole. Ma c’è anche l’impegno sull’offerta a valore aggiunto. La strategia – avviata da tempo – prosegue. Non solo per le maggiori marginalità e il fatto che permette ad Orsero di aumentare la forza e la conoscenza del marchio, ma anche perché si tratta di settori che consentono di avere il Return on investmement (Roi) positivo e in tempi piuttosto rapidi. Sennonché, il risparmiatore – proprio rispetto ai prodotti a valore aggiunto, quali i frutti di bosco – esprime un dubbio. Crisi economica, incertezza politica e minore potere di acquisto possono limitare la domanda di queste categorie merceologiche e, quindi, impattare l’attività di Orsero. La società, invitando ad un analisi più approfondita, rigetta la preoccupazione. Tra gennaio e maggio del 2025, indica l’azienda, i più cari prodotti di qualità sono maggiormente cresciuti rispetto a quelli a minore costo. Un esempio? I frutti di bosco – caratterizzati da un prezzo, in capo ad Orsero, di 12,77 euro a chilo equivalente – sono stati caratterizzati dall’incremento dei volumi del 72% rispetto allo stesso periodo del 2024. Le pere e le mele, dal canto loro e sempre a detta della multinazionale, sono al contrario diminuite del 4%. E questo nonostante il costo sia di 1,07 euro per chilo equivalente. Detto diversamente: le merci a valore aggiunto – per quanto quelle “commodity” restino assolutamente fondamentali – non subisco frenate e, ad oggi, non è visto alcun problema particolare. Ciò detto, però, più in generale può farsi un’ulteriore obiezione. L’attuale incertezza è generata, anche, dal caos dei dazi voluto da Donald Trump. Un contesto in cui il rischio è che l’attività di Orsero patisca degli effetti negativi e, con lei, il suo conto economico. La multinazionale – pure conscia della complessità della situazione – di nuovo non condivide il timore. In primis perché – viene ricordato – Orsero non è in linea di massima esportatrice verso gli Usa. Quindi gli eventuali dazi non la colpiscono in maniera diretta. Certo! Esiste l’esport di avocado dal Messico in direzione dell’America, ammette la società. E, tuttavia, il fatturato generato da quella attività è limitato (circa 50 milioni di dollari) rispetto ai ricavi complessivi che, nel 2024, sono risultati di 1,57 miliardi di euro. Non solo. Il T-Mec (accordo di libero scambio tra Canada, America e Messico) – che include gli avocado – è legalmente molto difficile da modificare. Quindi – dice sempre Orsero – al di là delle dichiarazioni di Washington, non è così probabile vedere novità da cui scaturiscano reali problemi. Anche perché fonti geografiche alternative di fornitura sono difficili da individuare. In Perù, ad esempio, la finestra produttiva è limitata mentre in Colombia ci sono problemi di qualità. Impraticabile poi – afferma Orsero – la soluzione del “made in Usa” visto che le politiche a difesa del territorio (ad esempio in California) e l’alto costo della mano d’opera locale rendono la soluzione economicamente insostenibile. In definitiva, quindi, la multinazionale italiana – ad oggi – non vede i dazi come un concreto problema. Nemmeno riguardo alla probabile futura presenza diretta negli Usa? In quel caso – conclude Orsero – potrebbe dover essere necessario ragionare sul tema. In generale, però, le eventuali questioni sarebbero di gran lunga più che contro bilanciate dalla positiva valenza industriale e strategia dell’intera operazione.

Magazzini e logistica

Già, la valenza strategica ed industriale. Altro fronte importante è quello dell’espansione delle infrastrutture del gruppo. Di recente è stato completato – e messo in funzione – l’ampliamento del polo di Verona dove, tra le altre cose, un focus è sui frutti di bosco. Un po’ indietro – rispetto alla tabella di marcia prevista – è, invece, la situazione in Grecia. Ad Atene la crescita organica delle strutture deve fare i conti con un’interlocuzione non fluida tra azienda e autorità locali. Differente, da parte sua, il contesto in quel di Siviglia. Qui il terreno per i nuovi magazzini è stato comprato. È in atto l’iter burocratico – amministrativo e il primo mattone dovrebbe essere posto nel 2026. L’impegno complessivo, dell’investimento nella città spagnola, è di circa 15 milioni al 2030. Insomma: lo sforzo per sostenere la crescita aziendale è nei numeri. Infine, la quarta gamma. Nel passato il business della frutta e verdura pronta per essere consumata era diventato un fronte su cui l’azienda puntava molto. In realtà, l’incremento del segmento è stato inferiore alle attese. L’avvio del 2025 di quest’area, indica il gruppo, è molto positivo. Inoltre, si tratta di un fronte contraddistinto da una redditività buona. Nel complesso, comunque, è innegabile che – soprattutto a causa del prezzo della frutta tagliata che resta impegnativo per il consumatore – l’atteso boom non si è visto. Di conseguenza, l’attuale atteggiamento del gruppo – rispetto al segmento in oggetto – rima quello di “Wait and see”.

Fonte: Il Sole 24 Ore