Ovazione per Falstaff rockstar fallita

Ovazione per Falstaff rockstar fallita

Lo dimostra il Macbeth del Maggio, oggi la miglior buca in Italia: concerta Alexander Soddy (ultima replica pomeridiana oggi) con carattere sinfonico, vicino al Beethoven della Eroica. Manca il guizzo delle cabalette, scelta di campo. O, forse, necessità di braccio.

Comunque, la regia di Mario Martone sta in perfetta drammatica sintonia, lo spazio spalmato nero assoluto e due gesti teatrali che dicono il potenziale mai valorizzato del palcoscenico di Firenze: il sipario gigante che cala, isolando Macbeth e la Lady in un valzer assatanato, mentre dietro il Coro canta “L’ira tua”; e l’impiantito di deserto, che entra lentissimo in una infinita “Patria oppressa” (applausi bis al Maestro Fratini), Mimmo Paladino che trasforma il teatro in una tomba, sui video gelidi di Pasquale Mari e Alessandro Papa. Gaza oggi. Ma uguale Dresda, ieri.

Luca Salsi è Macbetto: patteggiato con Verdi, cantato e parlato, in immedesimazione totale. La Lady è Vanessa Goikoetxea, lamata, potente, persino greve. Imparagonabile la loro tensione alla inerzia nel Rigoletto ripreso della Scala. A tempo solo la scena rotante di Margherita Palli, Marco Armiliato non fa combaciare orchestra e protagonisti, peraltro scollati tra loro. Nell’opera dei duetti, ognuno canta in solitaria, rivolto verso al pubblico.

E siamo infine a Parma, dove il Festival punta sul fil rouge di tre registi di prosa – coerente, visto il tema Verdi e Shakespeare. Solo uno va veramente a segno, Manuel Renga, che nello scrigno di Busseto ci immerge in un Macbeth a fior di pelle, torbido, attoriale. Vince invece al completo la terna dei direttori: Roberto Abbado con il filologico Otello di tempeste articolate, il giovane Michele Spotti in un Falstaff pensato per ampie campate, notevole, e Francesco Lanzillotta che lascia un segno sugli imberbi della Giovanile di Fiesole.

Al di là delle disquisizioni sui tre tenori per Otello, Sartori, Eyvazov, Jadge, questo puntare sul timone e ricollocare la centralità dello strumentale, soprattutto in terra di melomani, è il vero passo che qualifica e proietta nel futuro un Festival.

Fonte: Il Sole 24 Ore