
“Owen Wingrave” di Benjamin Britten tra i trulli
Giusto. Sbagliato. Sì, no. Basta specchi del presente. Andiamo all’opera per distrarci e sognare, non per rivedere le immagini della TV. Si infiammano le discussioni al Festival della Valle d’Itria, cinquantunesima edizione del cartellone di teatro in musica nella cittadina pugliese di Martina Franca, e quanto sono fertili queste battaglie di pensiero e parole. Per la prima volta al timone c’è una donna. Anzi, correggiamo: c’è una compositrice, nominata direttrice artistica con bella intuizione. Silvia Colasanti, romana, ha alle spalle commissioni importanti e la prossima sarà alla Scala, a fine settembre: “Anna A.” Achmatova, certo. Occhi aperti sul presente, riflessiva, piena di domande, così suona la locandina da lei impaginata. L’impronta è nuova e personale.
Tra i trulli
Qualcuno storce il naso. Abituati all’oasi del belcanto tra i trulli, coccolati dalla pura bellezza, le infinite disquisizioni sui divi del passato e sulla tecnica vocale, trovarsi di colpo sotto il motto lapidario “Guerre e pace” rappresenta un bel salto. Due dei tre spettacoli poggiano duri sul tema bellico.
Benjamin Britten
Doveroso e coerente, nella messinscena dell’opera antimilitarista di Benjamin Britten “Owen Wingrave”. In Italia finora nessuno l’aveva notata e il fiuto dei compositori serve appunto a questo. Per il Festival un fiore all’occhiello prestigioso, qui dove si va a caccia di titoli dimenticati. Scritta nel 1971, creatura tarda e penultima nel catalogo, la partitura in due atti nasce per la BBC, dopo due anni sarà in scena al Covent Garden. Il libretto è di Myfanwy Piper, come per il “Giro di vite”, uguale anche per la storia di fantasmi da un racconto di Henry James. Qui tuttavia si sta in bilico tra guerra e antenati plurimedagliati: nella famiglia Wingrave i maschi hanno sempre dato prove eroiche sul campo. Tutti tranne il giovane Owen, che osa la ribellione. Äneas Humm lo interpreta con identificazione totale, la voce bella di baritono giovane e così teatrale nel fisico alto e sottile. Memorabili l’apologia della pace, nel secondo atto (quanto vere le parole “la pace è più difficile e eroica della guerra”) e il gesto finale, prima che di colpo cali il buio sul palcoscenico dominato da una quadreria di ritratti, uguali e simbolicamente imbrattati di sangue: James vorrebbe il ragazzo morto, misteriosamente schiacciato dai fantasmi nella stanza del castello dove nessuno osa entrare. La regia di Andrea De Rosa, intelligente, essenziale, da teatro di prosa, vi aggiunge un moto di sfida: lui esce solo, mentre sfilano le ultime battute di una scrittura sottile e fredda, punteggiata da ossessive percussioni, e fulmineo prende un bicchiere dalla lunga tavola dove nessuno siede, in questa casa di maschi morti, tranne l’anziano nonno, il terrifico generale Sir Philip Wingrave. E proprio verso il fantasma del vecchio in carrozzella, l’ottimo Simone Fenotti, tenore, nella parte scritta per Peter Pears, rovescia sprezzante il contenuto, con rabbia vincente.
Tutti siamo per il pacifismo di Britten. Autentico, tra l’altro, provato come si sa sulla pelle. Bene fa il ricco programma di sala del Festival a recuperare la dichiarazione al Tribunale per l’iscrizione alla lista degli obiettori di coscienza, firmata dal compositore nel maggio del 1942, e che sembra scritta da Owen Wingrave. Si rimane invece un poco spiazzati la sera dopo, nell’affollatissimo cortile di Palazzo Ducale va in scena “Tancredi” di Rossini, tre ore e venti totali, con un intervallo di trenta minuti. Un po’ più lungo del solito, perché con i due finali: il primo convenzionale lieto, quanto gustoso, il secondo tragico, cioè con la morte del protagonista. Meno prevedibile, meno conforme alla scrittura del Pesarese ventenne, e già presago di una malinconia senile, armonicamente ricercato, spaziato su misteriosi silenzi.
Owen Wingrave, Benjamin Britten, Festival della Valle d’Itria, fino al 3 agosto
Fonte: Il Sole 24 Ore