Pacifici (Sama): «La sfida più difficile è creare l’interfaccia Ai per le aziende»

Pacifici (Sama): «La sfida più difficile è creare l’interfaccia Ai per le aziende»

Molti conoscono Sama, anche solo per nome. Ma a metà settembre Workday ha comprato Sana per 1,1 miliardi di dollari. Non affatto poco, anche in questi mesi in cui si discute molto di bolla di Ai. i. Sana è una startup svedese nata nel 2016 che costruisce quello che oggi si chiama AI enterprise: intelligenze artificiali che lavorano dentro l’azienda, non accanto. Non un chatbot che risponde alle domande, ma una piattaforma che trasforma dati, procedure e formazione in processi automatici. I suoi prodotti principali si chiamano Sana Agents e Sana Learn. I primi sono agenti intelligenti che si collegano alle fonti interne — documenti, database, archivi, mail — e aiutano dipendenti e manager a scrivere testi, risolvere problemi o cercare informazioni senza passare da dieci sistemi diversi. I secondi, Sana Learn, usano modelli generativi per creare corsi, adattarli ai bisogni del singolo, generare quiz, video e materiali. A questa altezza dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, l’acquisizione di Sana è anche la più grande exit dell’AI nordica, un mercato che cresce ma resta frammentato. Non è l’operazione finanziariamente più eclatante — come ha detto anche il fondatore di OpenAI, Sam Altman, esiste un concreto rischio di bolla finanziaria per le startup dell’AI — ma è la più importante nel modo in cui l’intelligenza artificiale entra nel lavoro d’ufficio. Soprattutto perché ci aiuta a capire quale sarà il ruolo delle piccole all’interno di questo business. Come spiega al Sole 24 Ore Valentino Pacifici, Chief Operating Officer della ex startup, lavora nel cuore del sistema informativo aziendale. Integra i dati e li rende azionabili. È il tipo di tecnologia che serve per far funzionare davvero gli agenti generativi di cui tutti parlano: non un’intelligenza generale, ma una conoscenza contestuale, costruita sui dati di chi lavora. Valentino Pacifici ha visto nascere Sana.

«Tecnicamente non nasco startupper – sorride –. Ma possiamo dire che Sana nasce da un incontro tra mondi diversi. Avevo 32 anni, con un dottorato in matematica e teoria dei giochi, algoritmi e organizzavo i Talk TED. Ero l’organizzatore responsabile di Stoccolma. All’epoca avevo anche iniziato a lavorare nel nascente ramo di AI di Boston Consulting Group. Lavoravo troppo per essere in grado di continuare a seguire il team di organizzatori di TED. Nonostante ciò, una sera ho deciso di partecipare alla cena con gli speaker, per controllare cosa stava succedendo a TED, visto che ne ero il responsabile. Mi sedetti vicino a Joel (Joel Hellermark, fondatore e CEO di Sana, ndr), questo ragazzo di 21 anni, che aveva appena iniziato la sua ’avventura a Sana. Appartenevamo a due mondi diversi: lui della startup, Io dal mondo corporate, io sviluppavo queste soluzioni di intelligenza artificiale per aziende enormi. Lui invece voleva sviluppare una app per i consumatori. Eravamo proprio due mondi opposti! Però avevamo gli stessi principi, stessa etica del lavoro, stesso livello di ambizione. Non siamo riusciti a smettere di parlare; letteralmente sono finito nel suo taxi quella sera, per non interrompere la conversazione, e il giorno dopo sono tornato a pranzo con lui. Alla fine, ho deciso di andarmene da BCG e iniziare questa avventura Sana, tra lo scherno dei miei colleghi a BCG. Sana non aveva revenue, non aveva fondi. Lui aveva fatto un angel round molto piccolino. Avevamo l’equivalente di tre mesi di stipendi prima della bancarotta. Eravamo cinque in totale. Io, in realtà, ero un profilo tecnico, però siccome non avevamo revenue, sono entrato come direttore di sales. Da quel momento lì, sono riuscito a chiudere il primo contratto di Sana, 650 mila euro, che ci ha poi permesso di fare il primo fundraise».

Oggi Sana dichiara più di un milione di utenti nel mondo, e ora avrà accesso alla rete di Workday, che conta oltre 75 milioni di utenti su scala globale.

«Diciamo che all’inizio siamo nati con un’idea diversa: creare una rivoluzione utilizzando machine learning e intelligenza artificiale per l’apprendimento. Stavamo cercando il modo migliore per entrare nel mercato. L’app per gli utenti sembrava poco fattibile, non avremmo avuto una trazione sufficiente, quindi decidemmo di andare B2B. Decidemmo di vendere algoritmi a tutti gli editori che hanno corsi online che non sono personalizzati, ma sono standard. Poi ci siamo accorti che il mercato degli editori di corsi era molto piccolo. Dipendevamo molto dai contenuti che creavano questi editori e non avevamo controllo sul risultato finale dell’esperienza per l’utente. Abbiamo così iniziato a pensare di creare una interfaccia (User Interface e User Experience, ndr) invece degli algoritmi e basta. Quando abbiamo iniziato a crearla, poi è successo il COVID. A New York c’era questa enorme crisi nelle terapie intensive, con mancanza di personale specializzato a fronteggiare l’emergenza. Gli ospedali si resero disponibile a permettere l’accesso alla terapia intensiva a infermieri non specializzati, ma non avevano le competenze per curare i pazienti in terapia intensiva e trattare il COVID. Quello che abbiamo fatto noi è stato mettere insieme a Mount Sinai, l’ospedale più grande di New York, un corso personalizzato di apprendimento per gli infermieri. Loro facevano questi test online veloci per poi imparare soltanto le parti che non sapevano. Abbiamo creato la prima versione di Sana insieme agli infermieri di terapia intensiva.»

Fonte: Il Sole 24 Ore