Parigi fa ancora sognare, poi ti svegli con Picasso

Un conto è andare al museo: fin troppo facile. Anzi: se ci andate adesso, fino al 14 aprile, al Petit Palais di Parigi, una sontuosa mostra – che aggrega pittura, scultura, automobili, aerei, gioielli, stoffe, disegni, costumi di danzatrici, maschere, giochi, turbanti, paraventi, erotismi d’altri tempi e molto altro – racconta come la città francese, nel periodo dal 1905 al 1925, non solo fosse la capitale del mondo per cultura e tecnologie ma imprimeva una spinta a tutti. Avanguardia e tradizione, passatisti e innovatori: un fervore di idee che ancora a un secolo di distanza restano incredibili , mettono allegria e danno ispirazione. E questo, al museo.

Esperienza d’arte a Le Bristol

Ma altro conto è andare a dormire, e svegliarsi, con un Picasso in casa. Eccezionale esperienza che non capita davvero quasi a nessuno (a meno di essere collezionisti fantastiliardari) e che, invece, un hotel ha avuto la brillante idea di escogitare e mettere in pratica. Intendiamoci: un quadro di questa importanza, di questo valore, artistico ed economico, non poteva che essere collocato in uno dei quegli hotel che “definiscono” l’essenza stessa del lusso, ma, anzi, la “rivedono”: al meglio, affinandola, dal punto di vista delle esperienze uniche. Insomma: eccoci a Le Bristol, gemma parigina di una catena di alberghi favolosi come la collezione Oetker (uno per tutti, il leggendario Hotel du Cap-Eden-Roc di Antibes, dove, sia detto per inciso e per coerenza della proposta, Picasso era ospite abituale e dove realizzò oltre 20 dipinti). Entro nella stanza con riverenza, e il “mio” (per una notte) Picasso, mi attende – presenza ieratica e allo stesso tempo discreta – su una parete di raccordo tra bagno e camera da letto, nella grande sala della suite. Mi avvicino: è un dipinto del 1931, «Maison à Juan-Les-Pins» (appunto), realizzato durante una vacanza in Costa Azzurra. Il dipinto raffigura la storica Villa Chêne Roc, dove Picasso visse nel 1924 (anniversario!), ritratta di notte: la villa e i dintorni sono raffigurati con pennellate audaci e ricche di colore, ricordi gioiosi del tempo trascorso in quel rifugio tranquillo. Il dipinto arriva in camera per la collaborazione tra il Bristol e l’Opera Gallery, che aveva già dato grande soddisfazione con la precedente “cena con Chagall”, quadro poi venduto. (È in vendita anche il Picasso, che vanta provenienza familiare dell’artista, nel caso voleste investire).

Eccellenza parigina

Certo: l’hotel è strepitoso. I ristoranti sommano 4 stelle Michelin, 3 con «Epicure», una il 114 Faubourg sotto la guida di Eric Frechon (ma lo chef ha annunciato, a sorpresa, qualche giorno dopo la mia visita, che lascerà la guida dei ristoranti – le due cose spero non siano in relazione… – dopo 25 anni di ininterrotto e stellatissimo successo: almeno ho fatto in tempo a provare le sue delizie), la singolare piscina sui tetti di Parigi, costruita come barca, l’Epicerie, che produce pani e dolci da colazione e da tè pomeridiano da farine del proprio mulino, con grani tradizionali macinati freschi ogni giorno nel seminterrato, un giardino che ora offre il meglio e un servizio eccellente, impreziosito dal gatto Socrate, snobbissimo padrone di casa (e degno erede del padre Faraon). Il Bristol, del resto, è nato con un’aura di distinzione: icona dell’eleganza francese fin dal 1925, fu il primo Hotel a ricevere il titolo di Palace. «Breakfast with Picasso» (questo il nome della formula, prezzo a richiesta) include un soggiorno di una notte in una Deluxe Junior Suite e una colazione creata per l’occasione da Frechon. Arrivano due camerieri in livrea all’ora stabilita: e poi è una sinfonia: uova alla coque con sciroppo d’acero e caviale, blinis al salmone affumicato, viennoiserie di ogni tipo e una macedonia con frutta di stagione. Picasso mi strizza l’occhio: caffé o champagne per il brindisi al nostro incontro ravvicinato? Entrambi, ovviamente.

Gli appuntamenti imperdibili lungo la Senna

Dal giorno dopo vado a caccia di Impressionismo, nell’imminenza della grande mostra che sta per celebrare la nascita del movimento nel 1874 (all’Orsay: da non perdere) e sulla scorta dell’ottimo libro di Giorgio Villani (I luoghi degli impressionisti, L’Officina Libraria). Naturalmente mi aggiro per Montmartre, vigne, piccoli orti, ricordi di conigli agili e sogni di cabaret e tele, un amarcord impossibile eppure ancora presente. Una panoramica di luoghi che Villani ripercorre con dovizia di particolari e nostalgia di vita e allegra bohème d’altri tempi. Eppure, appena alle pendici della collina, nel vivace Faubourg Montmartre, proprio a ridosso di un indirizzo goloso di culto (Mère de Famille, vi dice qualcosa?) trovo alloggio in uno degli hotel di nuova generazione più interessanti: La Fantaisie, parte del gruppo alberghiero a conduzione familiare Leitmotiv, giusto dietro Le Folies Bergère, il cui bar fu immortalato da Manet. È immaginato come un’oasi in città, e infatti l’incantevole giardino interno è un omaggio alla posizione in Rue Cadet, via che prende il nome dai fratelli e maestri giardinieri, Jacques e Jean Cadet, che nel XVI secolo rifornivano la corte della migliore frutta e verdura. Atmosfera perfettamente contemporanea; l’acclamato designer svedese Martin Brudnizki, celebre per stile esuberante e giocoso, ha capito il posto creando un mondo onirico dove la natura regna protagonista, una tavolozza di colori evocativa tra verdi tenui, gialli caldi e tocchi di corallo. E poi il ristorante: a firmare l’offerta gastronomica qui è la chef Dominique Crenn, francese di nascita ma espatriata negli Stati Uniti negli anni 80. Con il suo Atelier Crenn a San Francisco ha saputo rivoluzionare la gastronomia californiana, conquistando, unica donna negli Stati Uniti, tre stelle Michelin. Qui ripropone la sua cucina con il colorato «Golden Poppy»: ceviche di rombo con latte di pastinaca piccante e leche de tigre. L’ho gustato dopo un ottimo e abbondante Boulevardier, testato nel florealissimo bar all’ultimo piano. Sì, non c’è l’assenzio, ma gli Impressionisti avrebbero – lo scommetto – apprezzato ugualmente. Tempo di ripartire, ma la primavera parigina sprizza bellezza da tutti i pori. Resta la voglia di un ritorno: e chissà con chi faremo colazione la prossima volta. Ah, altri bei sogni.

Fonte: Il Sole 24 Ore