Paris Internationale con le nuove proposte festeggia 10 anni sugli Champs-Élysées

Paris Internationale con le nuove proposte festeggia 10 anni sugli Champs-Élysées

Quest’anno la settimana dell’arte a Parigi, si è aperta già domenica 19 ottobre con un furto di gioielli reali del valore di 88 milioni di euro al Louvre, il secondo mandato del primo ministro francese Sébastien Lecornu che si era dimesso dopo la crisi di governo appena un mese dalla nomina del presidente Emmanuel Macron, e pure l’ingresso in una cella di massima sicurezza dell’ex presidente Nicolas Sarkozy per corruzione. Non le migliori premesse, ma con la spinta di Art Basel Paris – giunta alla quarta edizione e già un appuntamento irrinunciabile – la capitale francese non è mai stata così internazionale e vivace, e a guadagnarne è anche Paris Internationale, la fiera non-profit che introduce sul mercato le nuove ricerche artistiche contemporanee, fondata da tre gallerie – Ciaccia Levi, Crèvecoeur e Gregor Staiger – nel 2015.

Quest’anno Paris Internationale, che ha festeggiato i suoi dieci anni lanciando la settimana scorsa la prima edizione milanese per la primavera 2026, ha trasformato in fiera un ex negozio di tre piani e 5 mila metri quadri sugli Champs-Élysées – pochi minuti a piedi dal Grand Palais di Art Basel – affittato da Adidas per 12 mila euro al mese fino alla chiusura pochi mesi fa. I tempi cambiano, l’arte resta e si prende gli spazi vuoti. Così già da martedì, nelle stesse ore dell’avant-première di Art Basel, la fiera ha accolto i primi visitatori con invito tra gli stand di 66 gallerie provenienti da 19 paesi.

Gli artisti emergenti

In fiera ci sono soprattutto artisti emergenti e riscoperte, spesso presentati durante o prima di mostre museali, a sottolineare la relazione stretta tra critica e mercato. È il caso dello stand di Martina Simeti di Milano, new entry di quest’anno con opere da 3.500 a 7 mila euro. La gallerista presenta una doppia personale, con immagini di still life sospese nel tempo e sculture ispirate a oggetti del quotidiano – poggiatesta in resina di Chloé Quenum, vista alla 60. Biennale di Venezia in rappresentanza del Benin e presto alla Fondation Pernod Ricard di Parigi, e lampade “povere” di Davide Stucchi, in mostra al Centro Pecci di Prato – che gli artisti interpretano come corpi, rappresentazioni di un’assenza e contrappunti alla frenesia del mondo contemporaneo. Ugualmente oniriche e spaesanti, le opere da Gianni Manhattan a 6 mila euro dell’italiana Kiki Furlan, classe 2001 di base a Vienna, che ha già all’attivo una presentazione sold out a Frieze London l’anno scorso. Si tratta di stampe su zerbini di lana di visioni claustrofobiche e alienanti, che l’artista duplica e poi manipola fisicamente, ottenendo un effetto sensoriale simile a quello dello spazio liminale del mondo digitale, la backroom per intendersi. Femtensesse di Oslo, invece, dedica lo stand all’artista norvegese Kaare Ruud, già residente alla Cité Internationale des Arts a Parigi e presto in mostra alla Bergen Kunsthall. Da 2-5 mila euro, le sue opere sono permeate da una sottile ironia e un eco surrealista: come le coppie di orologi da polso antropizzati, o le foto di famiglia nascoste dietro pesanti passepartout ritagliati in modo da sembrare occhi socchiusi e assonnati.

Gli artisti established

Tra gli artisti più affermati c’è Iza Tarasewicz da Gunia Nowik Gallery di Varsavia, collezionata dalla galleria nazionale Zachęta e protagonista tra un anno di una mostra personale alla prestigiosa Secession di Vienna. Nelle sue opere, in vendita a 10-20 mila euro, echeggiano elementi di fisica e astronomia ma anche la concretezza di macchinari rurali e vecchi satelliti sovietici, dispositivi di un progresso congelati in un tempo passato. Da Gregor Staiger di Zurigo e Milano, accanto alle enigmatiche sculture esistenziali di Raphaela Vogel, alla 59. Biennale di Venezia e di recente la personale al Museo Tamayo di Città dale Messico, ci sono i “track painting” degli anni ’60 di Xanti Schawinsky (1904-1979), da 5 a 250 mila franchi svizzeri. Esponente della prima generazione del Bauhaus e poi della Black Mountain College dopo l’emigrazione negli Stati Uniti, Schawinsky è oggi parte di collezioni importanti come The Drawing Centre e il MoMA di New York.

Fonte: Il Sole 24 Ore