Parma Food Valley, fatturato cresciuto del 22% in 5 anni. Successo per la Cena dei Mille

Parma Food Valley, fatturato cresciuto del 22% in 5 anni. Successo per la Cena dei Mille

Martedì sera, nel centro storico di Parma, verrà apparecchiata di tutto punto una tavolata lunga 400 metri per ospitare la Cena dei Mille. Mille come i commensali pronti ad assaporare i piatti firmati dall’ospite d’onore di quest’anno – lo chef Giancarlo Perbellini, neotristellato Michelin che ha ideato l’antipasto – e dai colleghi di Alma (la Scuola internazionale di cucina italiana), di Parma Quality Restaurants e Chef to Chef.
I biglietti da 150 euro messi in vendita a inizio luglio sono andati esauriti in un’ora: segno della notorietà che ha acquisito in pochi anni (è la sesta edizione) questo evento organizzato dalla Fondazione Parma Unesco Creative City of Gastronomy. Non si tratta solo di un appuntamento gastronomico, ma di una formula che permette di rinnovare l’attenzione su un territorio e le sue eccellenze alimentari (e non solo).

I record della Food Valley

Della Fondazione e del brand Parma Food Valley fanno parte tra le più importanti filiere e aziende che hanno saputo valorizzare il made in Italy nel mondo. Il consuntivo dei dati 2024, anticipati al Sole 24 Ore, parla di un fatturato complessivo che ha raggiunto 11,5 miliardi, contro i poco più di 11 dell’anno precedente e i 9,4 miliardi del 2019 (+22%). Le due Dop Parmigiano Reggiano e Prosciutto di Parma vantano rispettivamente un giro d’affari di 3,2 e 1,5 miliardi di euro; da sole Barilla e Parmalat valgono 4,9 miliardi e un miliardo; seguono poi il pomodoro (Mutti e Rodolfi Mansueto) con 849 milioni e le alici (Delicius, Rizzoli, Zarotti) con 143 milioni. L’export ammonta a 5,1 miliardi (44% del business), due in più rispetto al pre Covid.

A questi numeri vanno poi aggiunti quelli del resto del sistema agroalimentare parmense, dalla filiera della carne e dei salumi (si pensi solo al Culatello di Zibello Dop e al Salame Felino Igp) all’industria molitoria, dal vino fino alle aziende tecnologiche e di packaging afferenti al food. «È un sistema composto da oltre mille aziende che danno lavoro a 15mila dipendenti, pari a un quarto del settore in Emilia Romagna, che rappresentano il 36% del fatturato dell’industria provinciale – sottolinea Cesare Azzali, direttore generale dell’Unione Parmense degli Industriali –. Siamo la prima provincia per Dop e Igp e la propensione all’export è al 29%, il 10% in più di dieci anni fa e pari al 5% del totale italiano».

Aziende resilienti a crisi e dazi

Numeri da corazzata, ma dietro la crescita dei valori nominali “gonfiati” dall’inflazione e davanti all’aumento dei costi degli ultimi anni, non rischia di nascondersi qualche difficoltà, anche in vista dei dazi? «Sul mercato interno la perdita di potere d’acquisto delle famiglie può far virare i consumi verso prodotti di minor qualità e più economici – commenta Azzali – e sul fronte internazionale occorre sperare che l’effetto dei dazi sia il più possibile mite. Mediamente le nostre produzioni si rivolgono ai consumatori Usa collocati in una fascia di reddito abbastanza alta, capace di sopportare, almeno in parte, i rincari. Auspichiamo poi anche una collaborazione da parte dei distributori nell’assorbire una quota degli aumenti. Dall’accordo sul Mercosur potrebbero arrivare risultati positivi, ma non nell’immediato. Complessivamente però il settore è in salute e solido. Bisogna dare atto alle aziende di essere riuscite in questi anni, con notevoli sforzi, a ottimizzare i costi e mantenere la marginalità su buoni livelli. Poi è chiaro che dipende anche dai singoli settori».

Fonte: Il Sole 24 Ore