Passaporto digitale e moda: da Tod’s a Endelea è boom di sperimentazioni

L’ultimo in ordine cronologico è stato l’annuncio di Tod’s: il marchio del lusso, punta di diamente del gruppo guidato da Diego Della Valle, ha fatto il suo ingresso nel consorzio di Aura Blockchain e, utilizzando la questa tecnologia, ha lanciato il Digital product passport per la sua iconica Di Bag (che, tra l’altro, è tornata sotto i riflettori nell’ultima stagione di The Crown appena sbarcata su Netflix). Il Dpp, questo l’acronimo internazionale del passaporto digitale, permette così ai possessori dell’iconica borsa di accedere ai certificati di prodotto, di origine, e a informazioni su artigianalità e processi di produzione, dalla creazione all’acquisto. Il passaporto non solo garantisce quindi l’autenticità del prodotto, ma rende conto della sostenibilità delle materie prime, dell’imballaggio e della qualità della produzione. «Siamo entusiasti di far parte di questo percorso di trasformazione con Aura Blockchain Consortium – ha detto Carlo Alberto Beretta, general brand manager di Tod’s -. L’esperienza del cliente è al centro di tutto ciò che facciamo in Tod’s e questo ci consente di migliorare ulteriormente il rapporto con le nostre community, permettendoci di condividere direttamente la storia dei nostri prodotti più iconici attraverso la potenza delle tecnologie blockchain».

La normativa europea in arrivo

Il consorzio Aura Blockchain è nato nell’aprile del 2021 dall’unione di intenti (e di fondi) di alcuni dei principali player del mondo del lusso: LVMH, Mercedes-Benz, OTB, Prada Group e Cartier (Gruppo Richemont). L’obiettivo è quello di investire in tecnologie in grado di migliorare l’esperienza d’acquisto del cliente garantendo, per esempio, trasparenza e tracciabilità. Questi ultimi, infatti, non solo sono tra i valori che i consumatori del lusso oggi pretendono dai brand di cui acquistano i prodotti, ma rappresentano due capisaldi della legislazione europea: il passaporto digitale, per esempio, è uno dei requisiti che il regolamento Ecodesign (oggi ancora nella fase dei cosiddetti trilogue, dialoghi tra Commissione, Consiglio e Parlamento che seguono l’approvazione della plenaria avvenuta lo scorso 20 luglio) impone alle aziende. L’idea è quella di offrire ai consumatori che acquistano uno dei prodotti regolamentati dalla normativa Espr un documento digitale in grado di fornire informazioni sulla sostenibilità ambientale del prodotto in questione, inclusi la durabilità e la possibilità di riparare il prodotto, inclusa la disponibilità di “ricambi”. L’obbligo previsto dal regolamento Espr entrerà in vigore nel 2026 e, quindi, le aziende hanno meno di tre anni per diventare compliant.

I pionieri: la Digital Id della Fashion Task Force di Re Carlo

Ben prima della proposta della normativa il mondo della moda – che con la tecnologia blockchain ha iniziato a sperimentare già un decennio fa, spesso per questioni anti contraffazione – si era già attrezzato su questo fronte. Federico Marchetti, che già negli anni Duemila si era rivelato un pioniere fondando Yoox, ha iniziato a lavorare sul Dpp con la Fashion Task Force che guida su mandato di Re Carlo III (all’epoca solo Principe di Galles): «Occorre mettere l’innovazione al cuore dell’industria della moda come acceleratore per la sostenibilità. Big data, tecnologia e intelligenza artificiale vanno messe al servizio del pianeta», aveva detto Marchetti durante l’edizione 2023 del Luxury Summit del Sole 24 Ore. A livello concreto, la Fashion Task Force – di cui è membro anche il Corsorzio Aura, insieme alla blockchain Eon, ad aziende del lusso come Armani, Mulberry, Chloé e retailer tra cui Zalando e Vestiaire Collective – sta lavorando per implementare quella che un tempo veniva chiamata Digital ID (fu lanciata al G20 nel 2021) e che oggi coincide con il passaporto digitale. Chloé, per esempio, ha presentato lo scorso anno il progetto Chloé Vertical: i capi della collezione p-e 2023 sono tutti realizzati con materiali al 100% tracciabili e dotati di identità digitale anche per favorirne una seconda vita (in collaborazione con Vestiaire Collective).

Non solo un investimento per grandi brand. Il caso Endelea

C’è poi il caso di Endelea ,azienda italiana fondata da Francesca De Gottardo nel 2018 che produce abiti e accessori tra Italia e Tanzania. L’azienda – che è stata premiata in numerosi contesti tra cui i Sustainable Fashion Awards – realizza a Dar es Salaam, utilizzando tessuti locali, capi e accessori (incluso l’homewear) progettati in Italia. Dalla pe 2024 il direttore creativo è Tiziano Guardini, designer da sempre impegnato nella moda sostenibile. Nelle ultime due settimane Endelea, già società Benefit, ha annunciato di aver ottenuto la certificazione B Corp (una delle dieci aziende italiane del settore moda a ottenerlo, la prima in Tanzania) e, insieme alla società italo olandese Renoon, ha lanciato il DPP per i propri prodotti. Inquadrando il QR code sui prodotti Endelea si ha accesso a informazioni molto dettagliate: chi sono i fornitori dei materiali, dove sono state realizzate le diverse fasi produttive e da chi; quali sono i costi di materiali, manifattura, trasporto ma anche in costi fissi come il marketing; quante volte si potrà ipoteticamente indossare. «Etica e onestà sono due componenti importanti di questa azienda – spiega la fondatrice Francesca De Gottardo – e sono state, anche prima delle certificazioni e del Dpp, due capisaldi della relazione con la nostra community che è molto presente e ci dà feedback positivi sul nostro operato».

Da obbligo a opportunità commerciale?

Non è dunque solo il consorzio Aura Blockchain, di cui Tod’s rappresenta l’ultimo membro in ordine di acquisizione (sul sito non se ne escludono altri, anzi) a lavorare sul Dpp . Di qualche giorno fa è la notizia che Mugler, maison francese del lusso francese, ha fatto un accordo con la società francese Arianee per dotare di passaporto digitale le borse Spiral Curve 01 e 02 con QR code, scansionabile, contenuto nella tasca interna di ciascuna borsa. Le informazioni contenute nel Dpp saranno sia legate alla trasparenza della filiera sia di natura commerciale: scansionando il QRcode, infatti, i clienti potranno avere accesso a promozioni esclusive. Del resto, come candidamente ammesso da Adrian Corsin, ceo di Mugler, a Business of Fashion: «Per noi si tratta di investire su quello che alla fine sarà un vincolo governativo, trasformandolo in opportunità».

Fonte: Il Sole 24 Ore