Patrimonio Unesco, ecco i perché dell’incoronazione della cucina italiana
Non questo o quel piatto, l’abilità di alcune mani o un prodotto tipico distintivo ma è nell’essenza stessa del cucinare italiano il cuore della candidatura a patrimonio immateriale dell’Unesco. La prospettiva costruita nel dossier tecnico ha un’ampia articolazione, perché l’oggetto della tutela non sono tanto gli artefatti materiali o le specificità gastronomiche, quanto la pratica in sé, il significato profondo che l’atto di cucinare riveste nella storia italiana. Il primo parere tecnico positivo arrivato ieri sarà sottoposto per l’incoronazione definitiva alla decisione del Comitato intergovernativo che si riunirà in India a New Delhi dall’8 al 13 dicembre.
Un patrimonio vivo
L’atto di cucinare in Italia «trascende la semplice necessità nutritiva per ergersi a pratica quotidiana complessa e stratificata», viene segnalato nella proposta dai curatori Pier Luigi Petrillo, costituzionalista ed esperto di patrimonio culturale, e Massimo Montanari, storico dell’alimentazione. Si tratta di un patrimonio vivo, costruito su un solido corpus di saperi, rituali consolidati e gestualità tramandate che, nel tempo, hanno dato forma a una fusione ineguagliabile tra abitudini culinarie, l’uso ingegnoso e creativo delle materie prime e metodi di preparazione che spesso conservano un carattere artigianale.
L’identità socioculturale del Paese
Cruciale è il fatto che questa fusione non è rimasta statica. È diventata la radice di una tradizione condivisa che modella l’identità socioculturale del Paese, si legge nel dossier. Il risultato sono i cosiddetti “paesaggi gastronomici viventi”, ambienti che non solo riflettono, ma esaltano attivamente la diversità bioculturale unica di ogni territorio, stabilendo un ponte indissolubile tra il cibo e il contesto geografico. «L’esperienza culinaria italiana è intrinsecamente collettiva e partecipativa. Gira attorno a un profondo senso di intimità con il cibo, che si manifesta attraverso l’attenzione meticolosa riservata alla qualità e alla stagionalità degli ingredienti, e si completa nel rituale congiunto della preparazione del pasto e del suo consumo finale».
Ricette anti-spreco
Questa pratica ha storicamente elevato il valore di una cucina sovente considerata “povera”, ma profondamente saggia, incarnata da ricette anti-spreco. Tali principi di economia e ingegno culinario furono autorevolmente raccolti e documentati già nel 1891 da Pellegrino Artusi, nella sua opera fondamentale La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Più che un insieme di regole, questo patrimonio è un veicolo di trasmissione culturale. Permette lo scambio dinamico di gusti, competenze, memorie e, soprattutto, emozioni. È così che nasce la “Cucina degli affetti”, un’eredità sentimentale che, attraverso il cibo, riesce a saldare e unire diverse generazioni e a superare i confini locali e nazionali. Questa potenza emotiva e aggregativa coinvolge attivamente anche le numerose comunità di migranti italiani disseminate in ogni parte del mondo.
Petrillo: vicini a un cambio di paradigma
L’eventuale iscrizione darebbe un primato ulteriore all’Italia, secondo Petrillo. «Sarebbe la prima cucina al mondo – commenta il professore della Luiss già a capo dell’organismo mondiale di valutazione – ad essere riconosciuta patrimonio dell’umanità nella sua interezza. E ciò comporterà un cambio di paradigma a livello mondiale sul significato stesso della parola “cibo” perché affermerebbe nettamente come il cibo sia prima di tutto una espressione culturale».
Fonte: Il Sole 24 Ore