Paul Auster, uomo senza false pose

Paul Auster aspettava, silenzioso, all’inizio degli anni 80, nel cuore di una libreria della Costa azzurra, che già da anni non c’è più; un’edizione sobria, di Actes Sud, un titolo felice, che non poteva non richiamarmi: L’invention de la solitude. Si parlava di un padre, di un rapporto difficile, di una morte improvvisa. La seconda parte del libro narrava le vicissitudini di uno scrittore confinato a New York, in un appartamento di giorno rovente e gelido la notte, a Varick Street. Lo comprai senza esitare, già mi sembrava di aver incontrato un interlocutore, qualcuno con cui ci si può capire istintivamente, senza fatica o dolore. La lettura del libro mi confermò nella mia prima impressione, sentivo una sincerità misteriosa, un uomo che mi parlava direttamente, che sapeva quali corde toccare, senza false pose, qualcuno che sapeva interessarmi, padrone di uno stile, e dotato di una meravigliosa essenzialità, capace di concentrare lo sguardo su singoli fatti assoluti, isolandoli dal superfluo circostante. La descrizione di un padre, sincera e cruda, senza sottrarsi ai particolari sgradevoli, è tuttora potente, riemerge dalla memoria come intatta, conservando la sua verità indubitabile.

Parigi

Ero davanti ad un autore vero, di qualità, che avrebbe potuto smettere di scrivere, e già avrebbe lasciato un’incisione duratura. Avevo però la sensazione di essermi incontrato anche con un uomo di valore, un uomo generoso, attraverso la pura onestà delle sue pagine, attraverso il suo sguardo, che intuivo fraterno, per la semplice impressione che sgorgava dalle parole. Mi mancava ancora la controprova, un altro libro in cui ritrovare la medesima assonanza, la stessa sensazione di fraternità. Fu allora che lessi Città di vetro. E, pur con le esigenze di una trama e di una costruzione letteraria, ritrovai la stessa voce che mi aveva parlato nell’Invenzione della solitudine, la stessa familiarità, la stessa comprensione, la medesima consonanza. Certamente ci univa l’importanza tributata alla memoria, e in qualche modo sottile anche il rapporto con la città di Parigi, che era stata fondativa anche per me, nella formazione di un’identità e nell’accumulo di preziosi ricordi. Città di vetro avrebbe poi avuto nel ’94 uno stupendo adattamento come graphic novel: nelle mani di Paul Karasik, David Mazzucchelli e Art Spiegelman il romanzo avrebbe davvero spiccato il volo verso una nuova dimensione, assolutamente preziosa, e per nulla inferiore a quella della pagina scritta.

Nel 2009, a Pordenone, che invitò Auster per la manifestazione “Dedica”, consacrata ogni anno a un autore, ricevetti dalla penna di Karasik una meravigliosa vignetta/dedica, che impreziosisce la mia copia del libro. Il tempo, silenziosamente, ci fece incontrare: da Praga, a Parigi, a Pordenone, a Buenos Aires, confermando le prime fondamentali impressioni, quelle ricavate leggendo l’Invenzione della solitudine, di un uomo fraterno, affabile e generoso, di grande piacevolezza. A Parigi, nel Metro, c’erano gigantografie con i suoi occhi, e al Salon du livre, code di centinaia di metri per ricevere un autografo. Una vera rockstar, che aveva conquistato i francesi al di là di ogni immaginazione.

Il figlio Daniel

Recentemente, aveva subito l’irruzione della tragedia in una vita piena e ricca: prima la morte della nipotina di dieci mesi, che aveva ingerito droga trovata in casa, e poi la morte per overdose dell’amato figlio Daniel, messo sotto accusa per la morte della figlia. Un’accanimento della sorte che lo aveva ferito profondamente, e di cui non voleva parlare nelle interviste. Rimuovere la tragedia era impossibile, e a pochi mesi dalla morte del figlio, aprile 2022, a dicembre dello stesso anno gli era stato diagnosticato un cancro ai polmoni. Aveva iniziato combattendo la malattia, con grande forza, al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, però il tumore, a detta dei medici, era singolare, non facile da trattare. Aveva risposto, tramite una segretaria, alle mie mail di incoraggiamento, sino ad ottobre, poi aveva delegato alla segretaria il compito di rispondere, sempre affettuosamente. L’ultima risposta della segretaria risale al 4 di aprile.Ripensavo in questi giorni al suo Diario d’Inverno, che risale incredibilmente al 2012, ben 12 anni fa.

La memoria ci inganna, scava trincee invisibili attorno a noi, ci fa dimenticare la misura del tempo: già in quel libro Auster porta sulle cose uno sguardo insolitamente cupo, una meditazione sui fatti della propria vita che contrasta con la sua aria sorridente, con il suo apparente successo. Una spietata analisi dei fatti accaduti, riportati con estrema asciuttezza, quasi come non gli appartenessero, non fossero accaduti a lui. Un libro preoccupante, pessimista, senza nessuna compassione per sé stesso. Invece, un gesto di grande generosità, come a risarcire un collega sfortunato, è la biografia monumentale che ha dedicato a Stephen Crane: con meravigliosa incoscienza, un libro che era partito nelle sue intenzioni per essere di misura normale, si è sviluppato in corso d’opera in un tomo di mille pagine, obbedendo a una ispirazione fluviale, una gioia nel raccontare che ci dice molto della sua generosità.Il mondo traversato da Auster è un mondo retto dal caso, dalla sorte più cieca: forse i vari libri autobiografici spiegano più dei romanzi la “musica del caso”: il quaderno rosso, ad esempio, che raccoglie casi strani, coincidenze al limite dell’incredibile. Come racconta, il fatto che più ha colpito l’autore è accaduto nel passato, ai tempi del liceo, nel ’60 o ’61: durante un’escursione in campagna, il suo gruppo di scout fu sorpreso da un potente temporale; decisero di portarsi in una radura, dove era più sicuro fermarsi, lontano dalle piante. Bisognava passare sotto a un filo spinato. Con ordine, si disposero a passare, l’amico Ralph prima di lui. Quando Ralph toccò il filo spinato, cadde un fulmine. Paul stava mezzo metro dietro di lui. La sorte aveva agito, senza dare replica. Ralph morì in quel momento, Paul sopravvisse, incontro a una lunga vita. Forse, in questi ultimi giorni, assediato dalla malattia, avrà ripensato al suo compagno Ralph. Forse, avrà concluso che ogni vita, pur piena di eventi e successi, è simile per durata al viaggio immaginato da Kafka, a cavallo, sino al prossimo villaggio.

Fonte: Il Sole 24 Ore