
pedaggi ecologici ancora in stallo
Non c’è pace per le autostrade italiane. Nella riunione dell’8 ottobre la Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia Ue per il mancato recepimento della direttiva 2022/362 – la cosiddetta Eurovignette – che impone pedaggi a carico dei veicoli pesanti più inquinanti per l’uso di alcune infrastrutture. Il termine per l’attuazione era fissato al 25 marzo 2024, ma Roma non ha ancora trasposto le disposizioni comunitarie sul pedaggiamento stradale, nonostante la lettera di costituzione in mora del 23 maggio 2024 e il successivo parere motivato del 16 dicembre. Secondo la Commissione, «gli sforzi profusi dalle autorità italiane non sono stati sufficienti» con la conseguente richiesta alla Corte di irrogare sanzioni pecuniarie per il ritardo.
Decreto pronto ma mai arrivato in Cdm
Il provvedimento nazionale esiste. È lo schema di decreto legislativo predisposto da Mit e Dipartimento per gli Affari europei per dare attuazione alla direttiva, già trasmesso agli uffici del Governo e iscritto all’ordine del giorno del pre-Consiglio dei ministri del 7 ottobre 2025. Il giorno successivo, tuttavia, il testo non è stato discusso né approvato da Palazzo Chigi. Nel frattempo, però Bruxelles ha puntato i piedi, formalizzando il deferimento dell’Italia davanti ai giudici di Lussemburgo. Ma per capire la portata della vicenda è utile fare un passo indietro e riavvolgere il nastro.
La norma quadro europea
La direttiva Eurovignette per i veicoli pesanti (quelli oltre le 3,5 tonnellate) mira a introdurre un sistema di tariffazione stradale più sostenibile, in cui il costo del pedaggio rifletta anche l’impatto ambientale del veicolo. Inizialmente utilizzata in Austria, da sempre sensibile alle politiche sulla sostenibilità ambientale al punto da imporre ai veicoli pesanti una tariffazione maggiorata, il testo europeo modifica in profondità la direttiva 1999/62/Ce e le successive 2006/38/CE, 2011/76/Ue e 2019/520, introducendo nuovi criteri di calcolo legati alle emissioni di CO₂ e all’inquinamento atmosferico dovuto al traffico. L’obiettivo è duplice: da un lato incentivare i mezzi a basse emissioni, dall’altro garantire una concorrenza equa tra operatori del trasporto stradale. Gli Stati membri devono dunque differenziare i pedaggi in base alle prestazioni ambientali dei veicoli, tenendo conto delle classi di emissione e dei costi esterni.
Il recepimento italiano: nuova architettura tariffaria
Il decreto italiano, che riscrive integralmente il Dlgs 7/2010, recepisce la direttiva attraverso un impianto coordinato con la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023 (legge n.193 del 2024). La struttura del testo riflette la riforma del sistema concessorio autostradale prevista dal Capo I della stessa legge, attuativa della misura M1C2-11-12 del Pnrr. Il sistema tariffario è unico ma i pedaggi dovranno differenziarsi in base ai consumi e alle emissioni. In particolare sulla base dell’onere per l’infrastruttura, i costi per il recupero dei finanziamenti pubblici e quello per i costi esterni legati a inquinamento atmosferico e CO₂. La gestione delle tariffe resta affidata all’Autorità di regolazione dei trasporti cui spetta l’adozione del sistema di calcolo e l’individuazione dei valori di riferimento. Il governo ha scelto questi criteri sui quali parametrare i nuovi pedaggi per i veicoli oltre le 3,5 tonnellate tralasciando gli oneri per l’inquinamento acustico, per la congestione del traffico, strumenti ritenuti come si legge nella relazione illustrativa “eccezionali e complessi”. L’onere per i costi esterni in relazione all’inquinamento atmosferico sarà ridotto del 50% rispetto ai valori di riferimento comunitari, per evitare una doppia imposizione rispetto alla componente infrastrutturale, che già include interventi ambientali.
Il perimetro
L’elemento decisivo del nuovo sistema è che sarà applicato alle nuove concessioni autostradali, quelle cioè affidate dopo il 18 dicembre 2024, data di entrata in vigore del nuovo quadro definito dalla legge 193/2024. La scelta deriva dalla clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 7 della direttiva, che consente agli Stati di escludere i contratti firmati prima del 24 marzo 2022. Il principio, spiega ancora la relazione, è quello di tutelare il legittimo affidamento dei concessionari e l’equilibrio economico-finanziario degli attuali rapporti, evitando modifiche retroattive alle tariffe. In sostanza, la direttiva si applicherà solo ai futuri affidamenti, mentre i contratti attuali continueranno a seguire la disciplina previgente. La tempistica però è diventata esplosiva. Mentre il testo normativo attendeva il via libera del Consiglio dei ministri, la Commissione ha esaurito i termini della procedura d’infrazione e deciso il deferimento alla Corte di giustizia. La concomitanza – decreto fermo a Palazzo Chigi e deferimento notificato lo stesso giorno – evidenzia un ritardo politico più che tecnico, che espone l’Italia al rischio di sanzioni pecuniarie giornaliere fino al completo recepimento.
Fonte: Il Sole 24 Ore