
Pensioni, dal 2027 ci vorranno tre mesi in più, ma non per tutti: ecco chi si salva
Si concentrerà sulle tipologie di lavoratori precoci e quelli che svolgono attività usuranti il freno parziale e progressivo che il Governo ha intenzione di tirare sull’aggiornamento dei requisiti previdenziali alla speranza di vita. L’indicazione torna nella risoluzione di maggioranza sul piano dei conti, approvata ieri alla Camera e al Senato con testo uguale. Lo stop sarà in due tappe: nel 2027 dovrebbe essere sterilizzato uno dei tre mesi di aumento previsti dal meccanismo, e l’anno successivo interverrà una seconda fase con un altro stop di uno o di entrambi i mesi che restano.
I lavori sulla definizione puntuale della misura e della platea a cui applicarla sono in corso, con i tecnici impegnati a costruire le soluzioni in grado di tenere insieme l’obiettivo di tutelare i lavoratori giudicati più “meritevoli” di un trattamento su misura e l’esigenza di non pesare troppo sugli equilibri delicati della manovra. In pratica si tratta di un cantiere parallelo a quello sulla rottamazione, che su un terreno diverso è guidato però dallo stesso principio (si veda l’articolo a lato). Analoga è stata del resto la riflessione riservata ai due dossier nell’audizione di mercoledì sera alle commissioni Bilancio dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che in entrambi i casi ha richiamato il concetto dei «meritevoli» per indicare il criterio che traccerà i confini dei due interventi.
Proprio Giorgetti del resto ha portato avanti la mediazione che si è resa indispensabile per inserire questo capitolo previdenziale nella griglia della manovra. A quanto racconta chi c’era, infatti, al vertice di maggioranza FdI e Forza Italia si sarebbero dette contrarie all’intervento, e in particolare gli Azzurri avrebbero insistito nel tentativo di concentrare tutte le risorse sul taglio Irpef per allargare il secondo scaglione fino ai redditi da 60mila euro. Ma la mossa, con i suoi circa 2,5 miliardi di costo annuo, avrebbe in ogni caso superato il budget previsto per la previdenza.
Come in tutte le mediazioni, ognuno ha dovuto rinunciare a qualcosa, a partire dalla Lega che ha battuto sulla proposta di uno stop pieno all’aggancio della speranza di vita: ipotesi, però, rivelatasi presto incompatibile con i margini di bilancio. Perché a pesare non è tanto l’impatto puntuale sul 2027 e 2028, quando i margini si allargano un po’, ma le ricadute prospettiche di un congelamento totale, che secondo i calcoli della Ragioneria generale «comporterebbe un incremento del rapporto debito/Pil di circa 15 punti al 2045 e di circa 30 punti al 2070» (ultimo rapporto Rgs sulla spesa previdenziale e sanitaria).
È stato questo aspetto a complicare il dibattito infinito intorno all’adeguamento automatico dei requisiti previdenziali alla speranza di vita, solitamente attribuito dal dibattito pubblico alla riforma Fornero del 2011 ma in realtà introdotto dall’ultimo Governo Berlusconi con i decreti anticrisi del 2009 (Dl 78/2009, articolo 22-ter) e 2010 (Dl 78/2010, articolo 12). Nel 2019 il meccanismo è stato bloccato dal governo Conte 1 con il decreto su «quota 100» (Dl 4/2019), e nel 2027 tornerà quindi in vigore dopo otto anni. Per molti, ma non per tutti.
Fonte: Il Sole 24 Ore