
Pensioni, vecchiaia e anticipi: doppio raccordo con l’integrativa
Un doppio ponte tra la previdenza obbligatoria e quella complementare, seppure solo di fatto allo stato embrionale, ma esclusivamente per i lavoratori integralmente contributivi. È quello che si crea dalla congiunzione del testo originario della manovra con i ritocchi approvati dopo una lunga maratona dalla commissione Bilancio della Camera.
La versione originaria della legge di bilancio varata del governo già prevedeva in partenza una sorta di aiuto dalle forme “integrative” in favore di chi ha cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 ed è quindi totalmente nel regime contributivo. Dal prossimo anno per raggiungere la soglia dell’assegno sociale (534,41 euro mensili) necessaria per accedere al pensionamento con 67 anni di età (equivalenti all’attuale limite di vecchiaia) e almeno 20 di versamenti, questi lavoratori potranno utilizzare una quota dell’eventuale rendita della pensione complementare. Un aiuto che, con il correttivo targato Lega passato in commissione a Montecitorio, dal prossimo 1° gennaio viene esteso, sempre per i soli soggetti integralmente contributivi, anche al pensionamento anticipato con 64 anni d’età, ma con il vincolo di aver maturato almeno cinque anni di contribuzione in più di quella normalmente richiesta (25 anziché 20), che dal 2030 diventano dieci (30 anni invece di 20) . Contribuzione che dovrà essere via via adeguata agli incrementi alla speranza di vita. In questo caso la quota della «rendita» dall’adesione alle forme integrative può concorrere a raggiungere la soglia d’importo minimo richiesta, che è pari a tre volte l’assegno sociale (1.603,23 euro).
Una soglia che, sempre dal 2030, lieviterà a 3,2 volte l’assegno sociale, per compensare i costi dell’intervento. Non solo: il Mef ha imposto una specifica clausola di monitoraggio, che, sulla base della rilevazione periodica dell’Inps (che avrà il compito di riferire ai ministeri dell’Economia e del Lavoro), in caso di necessità prevede la possibilità a far scattare la riduzione di autorizzazioni di spesa, di far salire ulteriormente la soglia minima oppure di far scattare il differimento della prima decorrenza utile per questa tipologia di pensionamento anticipato. In ogni caso il ministro del Lavoro, Marina Calderone, intervendo a Canale 5 ha sottolineato che si tratta di «un’opporunità, un guardare al futuro previdenziale dei nostri giovani».
Questa è la sola novità introdotta sul fronte della previdenza complementare alla fine della lunga partita parlamentare sul restyling della manovra, dalla quale è rimasta fuori, come è noto ormai da una settimana, la riedizione di un nuovo semestre di “silenzio-assenso” per favorire la festinazione del Tfr ai fondi pensione, che era previsto da un emendamento caldeggiato da Fdi.
È invece stata approvata una modifica che punta a irrobustire in qualche modo la “copertura previdenziale” dei giovani. Il correttivo punta a consentire ai neoassunti che cominceranno a versare contributi dal 1° gennaio 2025 di utilizzare una maggiorazione contributiva volontaria fino a un massimo di due punti percentuali rispetto a quella a loro carico (9,19% nel caso dei lavoratori dipendenti), che sarà deducibile al 50% dal reddito complessivo ai fini fiscali. In questo modo il montante contributivo individuale verrebbe incrementato. Con il risultato di rendere un po’ più pesante l’assegno pensionistico, anche in forma “anticipata”, ma soltanto al momento del raggiungimento dei requisiti di vecchiaia, anche se nel frattempo lo stipendio si assottiglierebbe leggermente.
Fonte: Il Sole 24 Ore