Pepi Merisio e gli scorci d’Italia negli anni del boom

Pepi Merisio e gli scorci d’Italia negli anni del boom

Scorre sotto gli occhi il viaggio da Cogne alla provincia di Enna, dalle cime di Lavaredo al punto più a Sud del Paese, Portopalo di Capo Passero. Ci si emoziona e si riflette osservando i volti, sostando davanti ai paesaggi, soffermandosi sulle trasformazioni dell’Italia che si rialza nel Dopoguerra e si incammina verso il benessere degli anni del boom. Gli scatti di Pepi Merisio (1931 – 2021), il fotografo della Bassa Bergamasca che si è formato nella formidabile palestra dei magazine (quando esistevano, e investivano negli articoli e nei servizi fotografici) per poi approdare ai libri divenendo una firma del Touring club, sono esposte a Bergamo nel Museo delle Storie, nella mostra allestita grazie alla Fondazione Sestini, il cui Archivio aveva acquisito il fondo del maestro nel 2017.

Vale davvero la pena di andarla a vedere, per l’appagamento dello sguardo e l’esercizio della memoria. Attraverso l’Italia, questo il titolo ripreso proprio da una storica collana del Touring alla quale Merisio contribuì immortalando alcune regioni centro-settentrionali. Ma nelle sale del Convento di San Francesco, nella Città Alta (che, inutile dirlo, vale una visita in sé), il territorio italiano c’è tutto. Ed emerge bene la cifra di chi lo ritrae, amandolo e cogliendone l’essenza: il fattore umano. Anche quando non si vede, è lì. A vivificare gli scorci e caratterizzare il passaggio dalla depressione post bellica alla modernità. Il lavoro, la dimensione comunitaria, i giochi dei bambini, i mezzi di trasporto, le tradizioni e i riti religiosi, l’avvento dei consumi: un’Italia che vuole crescere. Anche senza regole (almeno secondo i canoni di oggi), come nell’incredibile scatto di piazza del Plebiscito a Napoli (1971): una fitta coltre di automobili ne fa un parcheggio cancellandone la bellezza.

O come rivela la Cinquecento letteralmente in riva al mare di Praia (Cosenza), nello stesso anno, trasmettendo l’impeto di chi vuole godersi una vacanza comoda e forse troppo a lungo negata. C’è però anche l’ordine dei filari delle viti ad Appiano, in Alto Adige, l’impronta del lavoro dove l’uomo non c’è: parla per lui il risultato della sua dedizione. Così come il viadotto del Colle di Cadibona (Savona) mostra il salto di qualità nei trasporti e nella mobilità, proprio come il tram che lambisce il Duomo di Milano o le lambrette che gli italiani possono finalmente permettersi. Se l’armonia e l’originalità dell’architettura conquista, anche nei dettagli, e obbliga a fermarsi davanti al bugnato del Palazzo dei Diamanti a Ferrara, alla profondità prospettica dei portici di Bologna, alle geometrie di San Gimignano, le processioni e i riti fanno riscoprire il senso di comunità.

È quello che comunica la risalita dei frati lungo la scala del Santuario della Verna (Arezzo), alle spalle la natura esuberante del bosco. O piazza del Campo durante il Palio: quante immagini abbiamo visto ovunque, eppure poche ci fanno sentire tutt’uno con i fantini lungo la curva, in quella corsa sfrenata, e al tempo stesso dentro la folla raccolta in uno spettacolo che si rinnova a Siena da secoli.Una scalinata bianca e un’atmosfera anni 50: un’anziana vestita di scuro, il capo coperto, e una bambina mano nella mano a un signore ci portano a Ostuni. Ma il fustino del Dash nell’altra mano dell’uomo è la spia che siamo in un paio di decenni dopo, quando le lavatrici hanno rivoluzionato la quotidianità domestica.

Fonte: Il Sole 24 Ore