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Per il pomodoro la minaccia ora arriva dalla California
Anni passati a levare gli scudi contro la minaccia di invasione della conserva di pomodoro cinese. Per poi scoprire che oggi il vero pericolo arriva dagli Usa. I conti sono presto fatti: quest’anno la raccolta del pomodoro nel nostro Paese chiuderà con un calo atteso tra il 15 e il 20%, in Europa anche Spagna e Portogallo stanno riducendo le previsioni mentre in California, che già oggi è il secondo produttore mondiale di oro rosso dopo la Cina, le rese sono date in aumento del 10%. La ciliegina sulla torta? Le mosse del presidente Trump sul tavolo dei dazi, che si è già portato a casa tariffa zero per l’ingresso in Europa di alcune produzioni americane a base, appunto, di pomodoro.
Per gli operatori di un comparto che vale 5,5 miliardi all’anno, lo scenario non è certo rassicurante. I più preoccupati oggi sono gli agricoltori: «All’inizio dell’anno eravamo partiti con grande fiducia – racconta Giuseppe Romanini, presidente dell’Organizzazione interprofessionale del bacino del Nord, che contratta accordi e prezzi per tutti gli agricoltori del bacino settentrionale – i trapianti procedevano nei tempi giusti e le superfici messe a coltura erano maggiori dell’anno scorso, 45mila ettari contro 40mila. Poi la campagna ha preso tutta un’altra piega e al 31 di agosto abbiamo registrato un raccolto pari soltanto a 1,919 milioni di tonnellate di pomodoro: rispetto alle proiezioni, siamo al 17% di consegnato in meno». Il Nord Italia, che assicura oltre la metà del pomodoro nazionale, è più o meno arrivato al giro di boa delle operazioni di raccolta: «Se queste sono le proporzioni – dice preoccupato Romanini – a fine campagna il calo può anche superare il 20%». Dall’altra parte del mondo, invece, la California sta aumentando le rese del 10%: «L’Italia – dice Romanini – è il primo esportatore al mondo per valore, ma non per quantità: a questo punto, un arrivo di pomodoro californiano in Europa non è più da escludersi».
La cooperativa romagnola Apo Conerpo, che ogni anno raccoglie 5 milioni di quintali di pomodoro, circa il 10% della produzione nazionale, conferma le stime sul calo delle rese: «A tre quarti della raccolta – dice il suo presidente, Davide Vernocchi – le rese sono inferiori del 15-20% per il convenzionale, ma nel caso del pomodoro biologico assistiamo a un crollo di oltre il 30%. Per coltivarli spendiamo 9-10mila euro per ettaro, se la produzione non arriva almeno a 900 quintali per ettaro i ricavi non coprono nemmeno i costi».
Il settore, sostiene Vernocchi, ha problemi ormai strutturali: «È il terzo anno che le rese programmate non corrispondono a quelle effettive e la causa è il cambiamento climatico: tre anni fa l’alluvione, l’anno scorso le piogge durante la raccolta, quest’anno le bolle di calore estivo». Chiedere più soldi all’industria della trasformazione, rispetto al prezzo pattuito a inizio anno? «L’industria a noi non può dare di più perché la grande distribuzione a loro non vuole concedere di più – dice Vernocchi – chi distribuisce non vuole riconoscere che c’è un problema di contesto produttivo e di filiera».
Le aziende della trasformazione, insomma, si trovano tra due fuochi. «Buona parte dei contratti con la Gdo sono stati stipulati prima della partenza della campagna», conferma Giovanni De Angelis, dg di Anicav, l’associazione che riunisce gli industriali italiani del pomodoro. Le rese agricole più basse sono un problema anche per i produttori di conserve: «Anche nel bacino del Sud – prosegue – ci sono delle difficoltà, legate al sistema irriguo, in particolare nell’area foggiana. In questo momento l’industria riceve conferimenti rallentati, che impediscono agli stabilimenti di raggiungere la piena efficienza produttiva e le economie di scala che ne derivano».
Fonte: Il Sole 24 Ore