Per Royal Caribbean più crociere di lusso e utilizzo dei big data

Per Royal Caribbean più crociere di lusso e utilizzo dei big data

In un simile contesto Royal Caribbean è stata comunque in grado di contenere le spese operative. Queste si sono assestate a quota 4,36 miliardi rispetto ai 4,2 miliardi di un anno prima. Di conseguenza la marginalità a livello di Ebit è aumentata. Nel primo semestre del 2024 era stata di circa il 23,6% mentre alla fine del giugno scorso l’indicatore è risultato del 26,6%. Chiaro che, in scia a simili numeri, il mercato – tra alti e bassi – ha premiato il titolo in Borsa. Anche perché il gruppo crocieristico a stelle e strisce – sempre con la pubblicazione dei numeri del secondo trimestre del 2025 – ha migliorato la guidance sull’intero esercizio. Ad aprile l’utile per azione adjusted era compreso tra 14,55 e 15,55 dollari. Ora l’Eps rettificato dovrebbe assestarsi nella forchetta tra 15,41 e 15,55 dollari.

Le strategie

Fin qua alcune considerazioni tra dinamiche di Borsa e conto economico. Quali, invece, le mosse principali per sostenere il business? Una prima leva è certamente quella del maggiore posizionamento – rispetto ad esempio alla rivale Carnival Corporation – nel segmento premium e lusso. Royal Caribbean International (brand del gruppo) presidia il mainstream, ma la forza sta anche in Celebrity Cruises, marchio premium, e in Silversea, che è attiva nel lusso puro e nei viaggi avventurosi. La suddetta struttura porta yields più alti e margini superiori. La pipeline delle imbarcazioni, peraltro, conferma la strategia: la “Star of the Seas”, seconda Icon-class, o la nuova unità quale “Celebrity” puntano a trasformare la nave in destinazione in sé, con suite più grandi, attrazioni tematiche e servizi a prezzo premium. Il modello è meno diversificato rispetto alla stessa Carnival, che con Costa, Aida e P&O copre più mercati entry level. Royal Caribbean, invece, è più concentrata sull’alto di gamma. Ciò incrementa la capacità di pricing, ma da un lato espone di più la società al rischio di eventuale frenata della domanda; e, dall’altro, rende potenzialmente maggiormente difficile sfruttare il fatto che i crocieristi, spesso, dopo il primo viaggio ne vogliono sperimentare un altro più costoso.

Destinazioni private

Non si tratta, però, solo di navi e lusso. Il gruppo spinge – similmente ai concorrenti – sulle destinazioni private. CocoCay ha dimostrato di aumentare la spesa media, e il modello sarà replicato con i Royal Beach Club a Paradise Island (2025) e a Cozumel (2026). Controllare lo scalo significa massimizzare ricavi e differenziare l’offerta. Quell’offerta la quale, poi, è indirizzata anche grazie all’uso del digitale e dei big data. Qui, ad esempio, da una parte piattaforme online e App di bordo favoriscono vendite pre-partenza di pacchetti ristorazione, escursioni e servizi. Dall’altra, lo studio dei dati della clientela permette di comprendere meglio come si muove la domanda.

L’indebitamento

Tutto facile come prendere il sole in spiaggia, quindi? La realtà è più complessa. Un primo fronte da ricordare è quello della struttura finanziaria. Il gruppo, come tutte le aziende del comparto, dopo il Covid – quando l’indebitamento è giocoforza esploso – ha avviato un processo di riduzione della leva. Secondo il terminale Bloomberg, nel 2019 il debito totale era di 11,7 miliardi. Nel 2022 è balzato a 23,9 miliardi. Da lì, per l’appunto, l’azienda ha effettuato un rilevante pressing al fine di fare calare la posizione debitoria. In chiusura dell’ultimo trimestre il “total debt” ammontava a 19,5 miliardi di dollari (20,6 alla fine del 2024). Similmente il “net debt to Ebitda ratio” è via via sceso. Secondo ValueSense l’indicatore rolling sui 12 mesi al 30 giugno scorso è di 3 volte. Il valore da un lato è – a quanto indica l’azienda – inferiore ai covenant sull’indebitamento stesso; ma, dall’altro, rimane ancora alto. Di conseguenza, il risparmiatore fai-da-te ha l’obbligo di monitorare l’evoluzione della struttura finanziaria.

Non solo. Royal Caribbean non è molto diversificata rispetto alle rotte né alla provenienza della clientela. Riguardo al primo tema, nell’ultimo trimestre, il 62,2% dei ricavi è stato generato dagli itinerari di Nord America e Caraibi. Con riferimento, invece, al secondo – sempre nel secondo quarter del 2025 – gli incassi da passeggeri statunitensi sono stati valsi 76% del totale. Ebbene: una concentrazione così marcata significa margini elevati quando il mercato statunitense è in crescita, anche perché i clienti americani spendono di più e hanno maggiore propensione al premium. Ma al tempo stesso aumenta l’esposizione a rischi specifici: eventi climatici nel Golfo del Messico, tensioni geopolitiche o rallentamenti economici negli Usa possono avere un impatto diretto e sproporzionato sui risultati. Si tratta di situazioni che il risparmiatore fai-da-te farebbe bene a tenere sempre a mente.

Fonte: Il Sole 24 Ore