
Perché il cambiamento fallisce? lezioni da Gorbaciov e Pietrammare
“Ci abbiamo provato”. Questa la risposta di Gorbaciov alla domanda “Cosa ti piacerebbe ci fosse scritto sulla tua lapide?”. Inserita nel documentario Herzog incontra Gorbaciov (2018), questa frase, semplice e quasi disarmante, restituisce il senso insito nelle esperienze di cambiamento non andate a buon fine. Quante volte, a fronte di un processo di transizione che non ha prodotto i risultati sperati, ci ritroviamo ad “autoassolverci” sottolineando l’importanza di averci almeno provato e ribadendo le nostre buone intenzioni?
Del resto, molteplici studi riportano che una gran parte dei processi di change management è destinata a fallire. Addirittura, secondo la Harvard Business Review, circa il 70%. Svariate le motivazioni: ragioni culturali, tempistiche inappropriate, resistenze individuali, mancanza di consenso, difesa dei privilegi, paura dell’incertezza, scarso allineamento, dinamicità del contesto.
La perestrojka come metafora di un cambiamento fallimentare
Perestrojka e glasnost, lanciate quasi a sorpresa da Gorbaciov negli anni ’80 verso la fine della Guerra Fredda, sono uno storico esempio di cambiamento fallito foriero del ritorno a regimi autocratici.
In Uzbekistan la transizione fu vissuta come uno shock: essendo fortemente dipendente dalla strategia di pianificazione industriale (e sociale) sovietica non vennero comprese le ragioni del cambiamento. Un’impreparazione che determinò anni di povertà e carestia. In estrema sintesi, la popolazione uzbeka aveva ottenuto una libertà che non era in grado di usare, non riuscendo a soddisfare neppure i bisogni primari. Il risultato fu una profonda avversione per la figura di Gorbaciov, ancora oggi visto come una sciagura da gran parte dei cittadini.
Visitare l’Uzbekistan è un’esperienza interessante: accanto ai tesori disseminati lungo la Via della Seta emerge un Paese in grande evoluzione, sospeso tra un forte dinamismo verso la modernità e strutture sociali e familiari ancora di stampo tradizionale. Per comprenderne la transizione è emblematica la storia dell’alfabeto, visto che nell’arco di un secolo si è passati dall’arabo (fino agli anni ’20) al latino (per imposizione dell’URSS), poi al cirillico (dal 1940) e infine di nuovo al latino (dopo l’indipendenza del 1993).
Fonte: Il Sole 24 Ore