
Perché l’organigramma aziendale non risolve i veri problemi
Questo articolo, come tutta la rubrica “Ripensare l’impresa”, non si riferisce a un’azienda in particolare. Né potrebbe: il modello organizzativo di cui parlo è adottato, in forme quasi identiche, dalla maggior parte delle aziende. Non si tratta di una polemica né di una ricetta, ma del desiderio di esplorare strade meno battute.
In ogni azienda, l’organigramma definisce confini, linee di riporto, responsabilità. Ma più che uno strumento operativo, ormai possiamo considerarlo un ansiolitico organizzativo: perché semplifica la complessità, placa l’ansia del disordine e ci fa credere che ogni cosa abbia un posto preciso. L’intero articolo nasce da una lunga conversazione con Francesco Frugiuele, fondatore di Kopernicana, con cui condivido da tempo l’interesse per i modelli organizzativi post-gerarchici, o, se vogliamo, post-fordisti. Da questa chiacchierata è emersa una consapevolezza chiave: non è l’organigramma in sé a creare problemi, ma il fatto che gli chiediamo di rispondere a domande che non può affrontare. In particolare: chi decide davvero cosa, e su quali basi vengono prese le decisioni?
Chi decide cosa
Quando emerge un problema serio, la prima reazione è seguire con l’indice l’organigramma e chiamare il manager di riferimento. Ma raramente chi compare in bold su quel box ha davvero le informazioni, l’autonomia o la capacità di intervenire. Spesso deve “sentire il team”, che dipende da altri team, che rispondono ad altre strutture. Il risultato è una catena di rimandi, call, escalation e attese che produce più ambiguità che soluzioni. Nella mia vita lavorativa ho visto call interminabili, con una ventina di persone di direzioni e livelli diversi, convocate per affrontare problemi minimali che una singola persona — se ingaggiata opportunamente — avrebbe potuto gestire in pochissimo tempo, e in completa autonomia. Voi, no?
E se la persona non fa il suo dovere?
L’obiezione classica è: e se uno se ne frega? Se viene in azienda solo per lo stipendio, cosa accade se non c’è un manager che lo controlla? In realtà, in una rete ben progettata, quel comportamento non passa inosservato: i colleghi se ne accorgono prima del capo. A differenza di un sistema gerarchico, possono agire, anche solo smettendo di assegnare lavoro o responsabilità. Frugiuele mi ha raccontato del sistema di Morning Star, azienda americana nota per la sua struttura auto-organizzata, in cui ogni collega può segnalare, in modo trasparente, quando un altro non contribuisce al bene comune. Un confronto tra pari, non imposto dall’alto. Certo, serve una cultura organizzativa matura, non succede dall’oggi al domani, però è l’unico modo per evitare che la “funzione semplificatrice” della gerarchia diventi un anestetico al pensiero critico. Non serve sempre un capo che controlli, ma un sistema che non permetta di nascondersi. Tutto questo non significa che le aziende debbano diventare comuni hippie o tribù di hacker, ma usare la gerarchia solo perché è semplice non regge più. Soprattutto in un’epoca in cui la complessità non è più un’eccezione, ma la regola.
Responsabili sì, capi no
Il punto è, ci ricorda Frugiuele, che le responsabilità devono esserci e devono essere chiare, visibili, non ambigue. Serve sapere chi ha l’accountability su una certa tematica, chi decide cosa, chi presidia una funzione o un rischio. Ma questo non implica che debba necessariamente essere un “capo”. Spesso, quando diciamo “voglio sapere con chi parlare”, cerchiamo qualcuno che si prenda davvero cura del problema. Se traduciamo quell’esigenza in “chi comanda qui”, rischiamo di riattivare difese, scarico di responsabilità e la consueta caccia al colpevole. Possiamo, forse dobbiamo, distinguere tra la responsabilità su un argomento e la gestione delle persone. Una cosa è avere la guida di un ambito, altra cosa è concentrare tutto dentro un sistema verticale che rallenta, confonde e deresponsabilizza. Insomma, serve un indice delle responsabilità, non una catena di comando. Chiedere all’organigramma gerarchico di svolgere questa funzione è come usare una bussola per leggere una mappa catastale. E attenzione anche all’ansia da controllo che genera overdesign: lo strumento più usato per chiarire ruoli e responsabilità — la famosa matrice RACI — in molte aziende diventa una plancia della NASA per guidare una bicicletta.
Fonte: Il Sole 24 Ore