Petrolio: così Usa e Russia si sfidano in Kazakhstan, mettendo in crisi l’Opec+

Petrolio: così Usa e Russia si sfidano in Kazakhstan, mettendo in crisi l’Opec+

l Kazakhstan produce troppo petrolio per “colpa” dei partner americani, finendo sotto accusa all’Opec+. E subito la Russia offre una potenziale via di uscita dall’impasse, restringendo – o almeno provandoci – la capacità di esportazione dal Paese, rallentando l’attività di un porto sul Mar Nero e di un importante oleodotto.

Potrebbe anche trattarsi di una catena di coincidenze, ma senza dubbio compongono un quadro coerente con l’ipotesi di una strategia concordata, che intreccia questioni economiche e geopolitiche con potenziali impatti anche sul mercato petrolifero, anche se è difficile decifrare quanto possa aver influito sulle quotazioni del barile in una giornata come quella di mercoledì 2 aprile, il fatidico Liberation Day, proiettato sull’attesa dei dazi annunciati da Trump.

Il Brent, estremamente volatile, ha chiuso la seduta quasi invariato, poco sotto 75 dollari, in apparenza freddo sia rispetto alle indiscrezioni di Reuters, secondo cui la “disubbidienza” del Kazakhstan sarà al centro di una riunione a distanza convocata per giovedì 3 da un gruppo di Paesi Opec+, sia rispetto alle ultime notizie in arrivo dalla Russia.

Mosca mercoledì 2 ha fermato anche uno dei moli di attracco del porto di Novorossiisk, sul Mar Nero. Per quanto si tratti di un molo secondario, che nel complesso non ostacola l’operatività del terminal, veniva utilizzato da navi cisterna (principalmente per l’export di diesel).

Ciò che colpisce è soprattutto che lo stop sia stato deciso due giorni dopo il fermo di altri moli, in un altro terminal poco distante: due moli su tre di quelli al servizio della Caspian Pipeline, oleodotto attraverso il quale il Kazakhstan esporta la maggior parte del suo greggio (1,7 milioni di barili al giorno a marzo, su un totale stimato di 1,88 mbg (e una quota Opec+ di 1,468 mbg).

Fonte: Il Sole 24 Ore