Piazza: il potere delle immagini di imprimersi nella mente

Piazza: il potere delle immagini di imprimersi nella mente

Samuele Piazza, giovane curatore capo delle OGR di Torino è responsabile del programma di arti visive. Ha curato mostre personali degli artisti Mike Nelson, Maria Hassabi, Monica Bonvicini, Nina Canell, Sarah Sze, nonché mostre collettive come “Vogliamo Tutto”, “Mutating bodies, imploding stars” e “Dancing is what we make of falling”. Ha conseguito un Master in Arti Visive presso l’Università Iuav di Venezia e un Master in Estetica presso il CRMEP della Kingston University di Londra. È stato Helena Rubinstein Fellow del Whitney Museum ISP nel 2015-16.

Ci racconti di te, del tuo percorso e della tua visione curatoriale? Soprattutto quali mostre che per impatto ed importanza possono essere qualificanti del tuo percorso?

Ho studiato arte e filosofia, formandomi tra l’Italia, l’Inghilterra e gli Usa. Da ormai otto anni lavoro alle OGR Torino dove sono il capo curatore. Direi che il mio lavoro degli ultimi anni si è concentrato su una riflessione sullo statuto dell’immagine contemporanea. In un’epoca in cui siamo abituati a scrollare foto con una soglia dell’attenzione di pochi decimi di secondo, mi sono interessato a quelle pratiche che si concentrano sul potere delle immagini di imprimersi nella mente, cercando di ragionare su cosa renda un lavoro memorabile e un’esperienza veramente immersiva; penso in questo senso al lavoro di Maria Hassabi, di Sarah Sze o di Arthur Jafa. Recentemente ho commissionato e prodotto un lavoro video di Cyprien Gaillard («Retinal Rivalry», 2024) che usava tecnologie video 3d sperimentali, trasformando il video in scultura, ridefinendo l’esperienza ottica dello spettatore; e sto finendo in questi giorni di lavorare ad una pubblicazione dedicata al lavoro di P Staff. Mi interessa il modo in cui le sue opere mescolano poesia e violenza; in questo caso guardiamo all’estasi come modalità di conoscenza corporale ai limiti della sensibilità umana. Mi ha inoltre sempre interessato una storia sociale dell’arte, in questo senso credo che un progetto rappresentativo della mia pratica sia “Vogliamo Tutto” una mostra che ho curato in OGR e che guardava alla transizione imperfetta tra modelli produttivi diversi, concentrandosi sull’evoluzione del mondo del lavoro.

Guardando al passato c’è un Padiglione Italia che ti ha particolarmente colpito o ispirato e quali errori non vanno ripetuti? E ampliando lo sguardo a quelli internazionali?

Fonte: Il Sole 24 Ore