Pistoletto e il dialogo tra arte e religioni

Pistoletto e il dialogo tra arte e religioni

La responsabilità dell’arte è il tema della nuova mostra di Michelangelo Pistoletto intitolata UR-RA, acronimo di Unity of Religions – Responsibility of Art. La mostra è allestita nella Villa Reale di Monza, un luogo che offre di per sé un’esperienza estetica. La spiritualità, espressa dalle opere dell’artista, si coniuga con la magia del luogo: all’improvviso, il visitatore si trova dinnanzi alla magnificenza di un edificio, la cui raffinata sontuosità rimanda al 1777, anno in cui, per volere di Maria Teresa d’Asburgo, l’incarico della sua realizzazione fu affidato all’architetto imperiale Giuseppe Piermarini. La Villa Reale diviene vero e proprio dispositivo capace sia di scaraventarci in un’altra epoca, sia di dialogare con l’immanenza del presente attraverso le opere contemporanee di Pistoletto. È venerdì 31 ottobre quando arrivo al vernissage; proprio all’entrata c’è il Maestro, che mi aspetta sorridente nei suoi splendidi 92 anni, elargendo sorrisi e strette di mano a tutti i suoi ospiti, affiancato dallo sguardo amorevole della moglie Maria Pioppi (artista a sua volta) che vigila discreta, ma attenta su di lui, affinché quelle strette di mano d’un tratto non diventino troppe. Mi accoglie, insieme a lui, Francesco Monico, curatore della mostra. Non è certo un caso che l’artista abbia scelto la Villa Reale come spazio espositivo. Un tema implicito nella sua produzione artistica concerne la capacità dell’arte di aprire spazi di libertà e reciproca comprensione tra differenti religioni e culture, tra tempi e luoghi fra loro distanti. In tale prospettiva, le stanze della Villa Reale diventano luoghi viventi, capaci di accogliere e trasformare, portali spazio-temporali che si affrancano dalla quotidianità per mettere a disposizione un altrove, in cui pensare e agire insieme. Nei quadri specchianti, che hanno reso celeberrimo l’artista, lo spettatore entra all’interno dell’opera con la sua soggettività riflessa nello specchio, trasformando in pratica artistica concreta quel Lector in fabula di Umberto Eco, quell’Impliziter Leser di iseriana memoria che tanto abbiamo amato. Ma così facendo, l’Autoritratto con quaderno (2017) diventa a sua volta portale spazio-temporale, in cui il tempo si dilata ad abbracciare sia i tempi di realizzazione dell’opera stessa, sia tutti i successivi tempi della sua fruizione; lo stesso vale per lo spazio. Il gioco estetico voluto dall’artista nei quadri specchianti consiste, in questo caso, nel far entrare le pareti lignee di alcune stanze all’interno dei suoi quadri specchianti (Sacra conversazione – Anselmo, Zorio, Penone) in un gioco di continui rimandi tra la fine del 1777, la sua opera del 1974 e il 2025, in cui sono io con la mia soggettività a varcare la soglia della sua macchina del tempo. La magia del luogo si amalgama con il magnetismo delle opere esposte, conferendo loro un ulteriore tratto: quello di un valore artistico capace di esprimere i valori universali dell’umanità, come sarebbe piaciuto al grande teorico dell’arte cecoslovacco Jan Mukařovský. Le opere esposte ripercorrono le varie fasi della sua produzione artistica; mi colpisce, in particolare, l’opera intitolata Trombe del Giudizio (1968) che, con la sua sonorità, pare teletrasportare i visitatori in un altrove, dove la condizione umana può essere esplorata. L’artista torna con la saggezza, che gli deriva dalla sua maturità, ad interrogarsi sulla necessità di quella “pace preventiva”, cui aveva dedicato la mostra a Palazzo Reale a Milano nel 2023. Può l’arte costruire uno spazio di libertà dove il pensiero possa liberamente esprimersi, dove le religioni possono dialogare nell’interculturalità dei loro sacri simboli reciproci? Qual è la vera responsabilità dell’artista? Consiste nel produrre quell’immaginario che permette all’umano di trascendere la sua natura per giungere al divino. La religione rammenta agli artisti che la finitezza umana può essere trascesa, per completare il destino della condizione umana stessa. Per parte sua, l’arte rivendica la libertà critica e la capacità creativa. È questo il profondo senso di quest’insolita frase che l’artista affida ad un enorme pannello bianco con una grande scritta in corsivo che lo attraversa: “C’è dio? Sì, ci sono” che, lungi da voler esprimere un’affermazione teologica, permette all’individuo di affacciarsi sulla soglia del mistero divino. Il Terzo Paradiso» dei Giardini Reali è realizzato con cento panchine, in materiale riciclato, che si intrecciano a formare quel simbolo, oggi più importante che mai.

Fonte: Il Sole 24 Ore