Premio Campiello, ecco la cinquina finalista

Le differenze più notevoli del Campiello rispetto ad altri più o meno famosi premi letterari italiani sono, come ha osservato Gianluigi Simonetti in un volume recente nato di fatto tra le pagine di questo giornale (Caccia allo strega. Anatomia di un premio letterario, Nottetempo), la conciliazione tra qualità letteraria e buona leggibilità (quindi: l’attenzione verso valori letterari più che verso il gradimento commerciale); e ancora, l’indipendenza rispetto alle grandi casi editrici, che orientano i destini di altre competizioni con criteri comprensibilmente legati alla promozione dei titoli più vendibili, i quali tuttavia non sempre sono i più pregiati.

Gianluigi Simonetti

Questo assetto tradizionale e costitutivo – il premio fu voluto a metà del secolo scorso da un illuminato circolo d’industriali veneti e dai loro ascoltati interlocutori accademici – è evoluto negli ultimi decenni, secondo lo stesso Simonetti, verso una progressiva convergenza del premio veneziano su titoli talora anche troppo affabili, rassicuranti e prevedibili. Ma la salvaguardia di un certo rigore e di una certa autonomia di giudizio continua ad essere favorita dal doppio livello di selezione previsto dalle regole del giuoco.

La cinquina dei finalisti è scelta da una giuria di una decina d’esperti (i Letterati) chiamati tra intellettuali e lettori professionali, che restano in carica per anni con una rotazione lenta e progressiva, assicurando continuità e qualità alle scelte operate; essi non devono render conto a nessuno delle proprie scelte, e per estrazione professionale sono in genere piuttosto gelosi della propria autonomia. Il romanzo vincitore è poi votato all’interno della cinquina da una giuria di trecento lettori anonimi fino al giorno della premiazione, che cambiano ogni anno e sono reclutati in tutta Italia tra i rappresentanti delle più varie categorie sociali e professionali, e sono dunque difficilmente raggiungibili dalle tradizionali forme di pressione esercitate sui giurati dei premi. Si tratta, insomma, di uno spaccato del pubblico potenziale della narrativa contemporanea.

La giuria dei Letterati

Uno dei criteri che guidano la giuria dei Letterati, insomma, è – o dovrebbe essere – quello di proporre ai trecento lettori una rosa di titoli che non tenga conto solo di autori ed editori già abbondantemente promossi dal chiacchiericcio mediatico (o come si dice oggi, social), ma indichi anche libri impegnativi, frutto di una particolare ricerca, ad esempio stilistica, di una felice eversione di cliché letterari abusati, o d’una esplorazione di territori di confine della produzione narrativa.

L’edizione di quest’anno è culminata con l’estrazione della cinquina nell’aula magna del Bo, sede storica dell’Università di Padova. Ad essere votati dalla giuria dei letterati sono stati i libri di Marta Cai Centomilioni (Einaudi), di Tommaso Pincio Diario di un’estate marziana (Perrone), di Benedetta Tobagi La resistenza delle donne (Einaudi), di Silvia Ballestra La sibilla. Vita di Joyce Lussu (Laterza), di Filippo Tuena In cerca di Pan (Nottetempo). Il premio per l’opera prima è andato a Emiliano Morreale, L’ultima innocenza (Sellerio). Una commossa menzione speciale sè stata tributata a Come d’aria di Ada D’Adamo, autrice improvvisamente scomparsa all’inizio dello scorso aprile. A guidare le scelte della giuria dei Letterati, come molti hanno esplicitamente dichiarato, è stata la ricerca nel territorio di confine tra la scrittura letteraria e quella storico-documentaria (una vera e propria biografia è quella di Ballestra, mentre Pincio presenta un personalissimo ritratto romano di Ennio Flaiano), o nell’area in cui s’incontrano scrittura in prosa e scrittura poetica (così Tuena), oppure letteratura e cinema, come capita nei quadri di Morreale. Marta Cai, una quasi-esordiente, nuova al romanzo, ha colpito per la perizia e la vivace maturità della sua scrittura. La convergenza complessiva nelle scelte dei giurati si è manifestata nella relativa rapidità con cui si è giunti al risultato, in poche tornate di scrutinio. Segno, forse, che le opere di qualche valore non sono così abbondanti nel pur torrenziale flusso della produzione attuale, e che il poco che convince non stenta a conquistare il pur cauto favore di lettori un poco avvertiti.

Fonte: Il Sole 24 Ore