
“Presence”, il punto di vista di un fantasma secondo Steven Soderbergh
Lo spettatore vede attraverso gli occhi di questa presenza, invisibile ma onnipresente, che assiste allo sgretolarsi delle certezze della famiglia.
Le sperimentazioni di Soderbergh
Steven Soderbergh è da sempre uno dei grandi sperimentatori del cinema americano contemporaneo, come ha dimostrato anche girando dei lungometraggi interamente con degli iPhone (un esempio è l’inquietante thriller psicologico “Unsane”, con cui “Presence” ha più di un’affinità) o attraverso delle strutture narrative davvero anomale per l’industria di oggi: si pensi a “Panama Papers” o a “Lasciali parlare”, due ottimi film con protagonista Meryl Streep, rimasti troppo sottovalutati.
Anche in “Presence” conferma la sua capacità di utilizzare in maniera incisiva dei mezzi leggerissimi, capaci di donare autenticità a un prodotto ricco di spunti teorici su cos’è il linguaggio del cinema odierno.
In alcuni passaggi il gioco mostra un po’ la corda con alcuni momenti di troppo e in parte fini a se stessi, ma nell’insieme il film è uno degli horror più intriganti degli ultimi mesi e senza dubbio una pellicola che non lascia indifferenti, grazie alla sua portata fortemente innovativa.
Una sconosciuta a Tunisi
Tra le novità in sala c’è anche “Una sconosciuta a Tunisi” di Mehdi Barsaoui. Protagonista è Aya, una giovane donna originaria di Tozeur, città nel sud della Tunisia, dove vive una quotidianità grigia e priva di prospettive.
Fonte: Il Sole 24 Ore