
Progetti idrici, la rincorsa al Pnrr
Il Pnrr è la più grande chance per superare le criticità storiche del servizio idrico italiano: dai divari di governance alle perdite di rete, dalla carenza di infrastrutture alla depurazione delle acque reflue. Nonostante a giugno 2025 – vale a dire a circa un anno dalla scadenza – solo il 2% degli interventi previsti risulti concluso (40 progetti), un altro 51% delle opere è in fase di collaudo e il 37% di esecuzione. La maggior parte degli investimenti resta da realizzare, con una percentuale rispetto ai target fissati del 30,6% e pagamenti liquidati pari al 30% degli importi stanziati. I numeri emergono dal position paper di Ref Ricerche «Pnrr e servizio idrico», elaborato su dati del portale Italia Domani, che il Sole 24 Ore del Lunedì è in grado di anticipare.
Per il servizio idrico, il Pnrr comprende due riforme, in capo ai ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture. L’ultima ha portato al Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico (Pniissi), di cui è stata sbloccata il 16 settembre la prima tranche dei finanziamenti, ossia 957 milioni di euro per 75 interventi.
Quattro le linee di investimento, per un totale di 5,3 miliardi di euro, a cui si sommano soprattutto fondi dello Stato per raggiungere i circa otto miliardi, distribuiti su 568 progetti. Il 40% dei fondi è destinato al Mezzogiorno, dove il gap di governance e competenze rimane evidente e la situazione è più critica. «Un’opzione era quella di puntare più decisamente su forme di partenariato tra soggetti locali e operatori qualificati (quotati o anche in house), o ancora con agenzie dello Stato (Invitalia) per accorciare i tempi di avvio della gestione industriale – evidenzia Donato Berardi, direttore del think tank di Ref Ricerche –, ma i territori rifuggono queste soluzioni per paura di perdere il controllo. Al Sud mancano soggetti industriali, eccezion fatta per l’Acquedotto Pugliese, che avrebbe potuto essere il fulcro di alleanze interregionali. Un tentativo si sta facendo con Acque del Sud, ma il progetto nato nel 2017, avrebbe bisogno di essere rimesso in cima all’agenda di governo». Al Nord prevalgono gestori industriali, economie di scala consolidate e investimenti sostenuti, con risultati migliori su efficienza, governance e servizi.
Le tempistiche
Dai dati emerge che il 98% dei progetti è stato avviato, ma il 7% è in ritardo rispetto al cronoprogramma, quota che sale notevolmente quando i soggetti attuatori sono le Regioni. Il Mezzogiorno è l’area più penalizzata, con il 10% dei progetti in ritardo.
Gli Enti di governo dell’ambito (Ega) gestiscono la maggior parte dei progetti (38%del totale), anche se sono responsabili di interventi di piccola dimensione. Dal monitoraggio emerge il ruolo virtuoso di consorzi di bonifica e gestori. «Hanno raggiunto, rispettivamente, una quota di spesa del 44% e del 32%, mentre le Regioni sono molto indietro nell’attuazione, con una quota di spesa del 5%, e pagano un gap di competenze a tutti i livelli», continua Andrea Ballabio, economista di Ref Ricerche. Una criticità, visto che hanno in capo 13 progetti, ma molto rilevanti, con un importo medio di oltre 70 milioni di euro per progetto.
Fonte: Il Sole 24 Ore