progressi, sfide e disparità tra Paesi

progressi, sfide e disparità tra Paesi

Nel 2025, l’HIV non è più un’emergenza sanitaria globale, ma resta un indicatore preciso di disuguaglianza. Lo si vede con chiarezza nell’Unione Europea, dove la battaglia contro il virus si gioca su due fronti opposti: da un lato la prevenzione avanzata e capillare di Paesi come la Spagna, dall’altro le fragilità strutturali del Sud-Est europeo, dove stigma, burocrazia e flussi migratori continuano a rallentare i progressi.

L’Europa, nel suo complesso, ha ridotto drasticamente le nuove infezioni negli ultimi dieci anni. Ma sotto la superficie dei dati si apre una frattura che non è solo sanitaria: è politica, economica e culturale. Nei centri di Atene e Sofia, dove i reparti infettivi operano al limite delle risorse, i medici parlano di “emergenza silenziosa”. A Madrid, invece, le autorità sanitarie festeggiano la discesa del 60% dei nuovi casi in un decennio e l’arrivo della PrEP in farmacia.

Intanto, i tagli ai fondi internazionali e la crescente pressione migratoria rischiano di invertire la tendenza proprio nei Paesi più esposti. L’HIV, oggi, è meno una malattia e più una cartina di tornasole del sistema sanitario europeo: dove il welfare tiene, il virus arretra; dove si allentano le maglie dell’assistenza, torna invece ad avanzare.

Grecia: tra migrazione, stigma e burocrazia

In Grecia, l’HIV si intreccia con la crisi migratoria e con un sistema sanitario già fragile. Secondo i dati ufficiali del National Public Health Organization, nel 2024 le nuove diagnosi sono state 650, e quasi il 40% riguarda persone di origine non greca, provenienti soprattutto dall’Africa sub-sahariana e dall’Europa orientale. Più della metà dei migranti positivi — il 55% — arriva alle cure in fase avanzata, quando l’infezione ha già compromesso il sistema immunitario. «Il problema non è solo l’accesso alle terapie, ma il ritardo nel collegare i pazienti ai centri specializzati, specie nei campi profughi sulle isole», spiega la dottoressa Giota Lourida, infettivologa dell’ospedale Evaggelismos di Atene.

Fonte: Il Sole 24 Ore