
Pronto soccorso, mancano 3.500 medici e dei «gettonisti» non si può fare a meno
Pronto soccorso terra di affanni: non solo per i milioni pazienti di ogni età e condizione di salute che rischiano di stazionarvi giorni e giorni – l’attesa media ufficiale è di 31 ore ma con il caldo o con altre emergenze le soste si prolungano senza limite – ma anche per gli operatori. Che sono decisamente meno rispetto al minimo necessario, frammentati in una miriade di soluzioni contrattuali – cooperative di gettonisti incluse e di cui “non si può al momento fare a meno” – tali da configurare un quadro di sostanziale impoverimento (denunciato da anni dai diretti interessati) che imporrebbe “provvedimenti non ulteriormente procrastinabili”. Da inserire , al di là degli interventi degli ultimi anni che hanno portato qualche boccata d’ossigeno – in una riforma strutturale di ampio respiro dell’intera rete dell’Emergenza-Urgenza, che comprenda anche la parte pre-ospedaliera, “ispirata a ovvi principi di efficacia ed efficienza del servizio nonché di rispetto e valorizzazione di tutte le professionalità coinvolte”.
L’indagine Simeu
Questo il quadro e l’appello che derivano dall’ultima indagine della Società italiana di Medicina dell’emergenza urgenza (Simeu), condotta con l’obiettivo di fotografare la reale situazione del personale medico che oggi opera nei Pronto soccorso italiani sotto il profilo quantitativo e qualitativo. Vi hanno partecipato i direttori di 153 strutture di Meu distribuite sul territorio nazionale, corrispondenti a oltre 7 milioni di accessi nel 2024, pari a più del 37% del totale degli accessi di Pronto soccorso che nel 2024 sono stati circa 19 milioni. Il campione esaminato è composto per il 26% da Dipartimenti di emergenza e accettazione (Dea) di II livello, per il 57% da Dea di I livello e per il 17% da Pronto soccorso. «L’indagine – è il quadro di sintesi tracciato dagli esperti Simeu – conferma la necessità assoluta di restituire dignità e attrattività al lavoro in Medicina d’Emergenza Urgenza. Il tema non attiene esclusivamente alla valorizzazione economica ma anche e soprattutto alla qualità di vita professionale e personale, com’è dimostrato, ad esempio, dalle maggiori difficoltà dei centri più piccoli e periferici di attrarre personale qualificato».
I risultati
Sono innanzitutto i numeri a dare il polso della crisi che si consuma da anni tra barelle in fila nei corridoi e sfiancanti turni di notte: secondo la proiezione nazionale mancano all’appello almeno 3.500 medici e nonostante tutte le toppe tra cooperative e prestazioni aggiuntive resta “totalmente assente” il 17% dei camici bianchi necessari. In cifre, la proiezione nazionale rileva che almeno 550 medici siano “del tutto assenti e non sostituiti con alcuna soluzione contrattuale”. Dall’altra parte, a quasi il 60% delle carenze (il 57% per l’esattezza) si fa fronte con variegate soluzioni contrattuali: per lo più cooperative (18%), a seguire liberi professionisti (16%), prestazioni aggiuntive (15%), specializzandi in libera professione impiegati nell’8% dei casi.
Nel dettaglio, solo il 62% dei reparti è coperto con dirigenti medici dipendenti del Ssn mentre per il 38% si fa ricorso ad altre figure professionali o si resta “scoperti”. Proiettando i dati sul totale nazionale, rilevano dalla Simeu, a fronte dei 9.000 medici necessari solo 5.500 sono presenti. «Il dato dei 3.500 dirigenti medici che mancano all’appello – osserva il presidente Simeu Alessandro Riccardi – è certamente sottostimato per varie ragioni. Tra le principali, le maggiori carenze accusate da strutture più piccole che sfuggono a questa ultima rilevazione. Il 38% di carenze organiche è comunque un dato pesantissimo, che ripropone il tema della qualità e dell’attrattività del lavoro in Medicina d’emergenza urgenza».
Pesantissima la carenza nei Pronto soccorso dove supera il 55% del fabbisogno mentre nei Dea di I livello l’indagine stima un gap superiore al 43% che “scende” al 25% delle strutture a maggiore complessità e cioè i Dea di II livello, che per le loro caratteristiche avrebbero necessità di organici ben più numerosi. Anche su questo fronte inoltre l’Italia si presenta divisa: la carenza è del 36% nelle Regioni settentrionali ma arriva almeno al 42% nel resto del Paese.
Fonte: Il Sole 24 Ore