Prove di resistenza digitale, cresce la nicchia anti big tech 

Prove di resistenza digitale, cresce la nicchia anti big tech 

Semplicità di accesso, possibilità di essere sempre connessi, di avere tutto a portata di clic — foto, file, contatti, memoria: la rete ci semplifica la vita e la cataloga, tiene traccia dei nostri spostamenti, delle ricerche, della nostra “cronologia di vita”. Una promessa irresistibilmente comoda, ma anche inquietante. Da questa consapevolezza nasce una fuga silenziosa di chi prova a staccarsi dai grandi ecosistemi digitali per una rivendicazione di libertà: per non essere ridotto a un profilo, a un algoritmo o, peggio, a una previsione di comportamento.

Strapotere economico ma anche politico e culturale

Secondo il documento Breaking Up with Big Tech pubblicato lo scorso agosto da Amnesty Iternational, le cinque aziende che controllano il mercato digitale — Google, Meta, Apple, Amazon e Microsoft — «stanno fissando i termini dell’esperienza digitale di miliardi di persone». Un potere che, spiega il documento, non è solo economico, ma anche politico e culturale perché definisce le regole dell’accesso all’informazione, orienta i consumi, condiziona il linguaggio con cui pensiamo la rete e ridefinisce, di fatto, la nozione stessa di privacy.

Dalla sveglia dello smartphone al pacco tracciato in tempo reale, l’infrastruttura delle Big Tech attraversa ogni gesto quotidiano. Nessuno ci obbliga, ma uscire dal loro perimetro è sempre più difficile. Eppure cresce una piccola ma tenace controcorrente. Esiste perfino siti ad hoc che raccolgono e aggiornano le alternative: un catalogo di micro-disconnessioni, tasselli di una nuova consapevolezza digitale.

Interesse crescente per l’open source

Secondo un’indagine 2025 dell’Eurobarometro, oltre il 60% degli europei ritiene che le Big Tech abbiano “troppo potere” e più della metà teme per la propria privacy. Un dato che spiega perché proprio in Europa si concentrino le normative più severe e un interesse crescente per soluzioni open source. Come ricorda Amnesty, non è solo una questione di concorrenza: la profilazione e la sorveglianza commerciale “limitano la libertà di espressione e l’accesso a informazioni pluraliste”.

Fonte: Il Sole 24 Ore