Quando Internet eravamo noi: ora navigano solo gli algoritmi. Buon compleanno «WorldWideWeb»
La nascita del web è questione dibattuta da anni. Anche per colpa dei giornali, famelici di anniversari da celebrare. Il 13 novembre del 1990, per esempio, è il giorno in cui Tim Berners-Lee, al CERN di Ginevra, insieme a Robert Cailliau, presentò ufficialmente una proposta di sviluppo del sistema che diventerà il World Wide Web: un ambiente ipertestuale basato su Internet, accessibile tramite browser, in grado di collegare documenti e risorse attraverso link. Il documento si intitolava «WorldWideWeb: Proposal for a HyperText Project».
La prima pagina WWW della storia nasce un anno dopo, nel 1991, il 6 agosto, ed era ospitata proprio al CERN, su un computer NeXT, e conteneva una serie di informazioni utili sul progetto: come creare pagine HTML. La trovate qui in tutto il suo splendore.
Negli anni Novanta Internet è stato a lungo un’attività da avanguardisti culturali. Roba per appassionati di computer che avevano tanto, tantissimo tempo a disposizione. Il modem, che di solito non era mai lontano dal PC, era una piccola scatola grigia o beige, con una fila di lucine verdi o rosse che lampeggiavano in sequenza. Una volta composto un numero di telefono, cominciava a gracchiare e fischiare. Le pagine web si caricavano lentissimamente, un pezzo alla volta. Ogni volta che si scriveva «wwwqualcosa», dopo aver premuto il tasto invio, era spesso un salto nel buio. Minuti di attesa, magari per collegarti a quell’università lontana, per poi scoprire che sul sito non c’era ancora nulla di veramente interessante.
Internet era un “mestiere” che si faceva seduti su una sedia: non c’erano ancora gli smartphone. Era un lavoro da scrivania, non potevi scrivere da sdraiato. Per i più giovani era un’attività in qualche modo collegata allo studio o ai videogame (se avevi un PC in cameretta). Sul lavoro negli anni Novanta a volte c’era la postazione internet, magari vicina al fax.
Sui giornali o in tv, «quelli che navigavano su Internet» erano chiamati internauti o, peggio ancora, «popolo della rete». Erano considerati qualcosa di nuovo e di diverso dai cittadini «normali». Per questo ai giornalisti di tecnologia veniva chiesto di trovare un taglio strano per l’epoca, come il barbiere che apre un sito anche se non ne ha alcun motivo, o il giovane nerd che trasmette immagini della sua webcam da casa 24 ore su 24, o la coppia che si era conosciuta online e si sposava nel mondo reale. Fuori dai titoli dei giornali, chi viveva Internet negli anni Novanta comunicava moltissimo e in modo libero. Non c’erano ancora le grandi piattaforme digitali, non c’era Google a organizzare il sapere online, i motori di ricerca a normalizzare il traffico e i social a sfruttare i nostri like. Si era tutti un po’ più liberi, perché quella era davvero una terra di nessuno, ma sempre più affollata di sperimentatori e curiosi.
Fonte: Il Sole 24 Ore