
Rai lottizzata con i dirigenti nominati dai partiti: non è diffamazione, ma critica politica
Nessun reato per il giornalista e il direttore responsabile di una testata online per l’articolo nel quale si denuncia la lottizzazione della Rai, con le nomine dei dirigenti scelti dai partiti. Anche se il redattore fa dei nomi, il suo articolo non va considerato un attacco personale, ma rientra nella critica politica, esercitata su un tema di grande interesse per l’opinione pubblica.
Partendo da questo presupposto, la Cassazione ha accolto il ricorso dei due giornalisti condannati nei gradi di merito per diffamazione, riconoscendo la scriminante prevista dall’articolo 51 del Codice penale, che scatta per chi adempie a un dovere. E il dovere in questione sta nell’esercizio del ruolo di «cani da guardia del potere», affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La Suprema corte ricorda che il solo limite all’esercizio del diritto di critica è quello del rispetto della dignità altrui, «non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale».
Nel caso esaminato dai giudici di legittimità obiettivo del pezzo – finito nel mirino del dirigente Rai citato come in quota alla Lega, che aveva querelato – era denunciare l’influenza politica sulle nomine della Rai.
L’interesse dell’opinione pubblica
Un tema rispetto al quale il dibattito ha una grande importanza «a fronte del diritto dei cittadini a sapere se il servizio pubblico è o meno influenzato – scrivono i giudici – nel rendere le notizie dalle convergenze politiche». Il diritto a dare un alert sul rischio di un’informazione non pluralista giustifica l’elevato livello di protezione della libertà di espressione.
A spezzare una lancia in favore di una stampa libera è stata di recente, ancora una volta, la Corte costituzionale con la sentenza 44/2025, che ha indicato il pluralismo dell’informazione come valore centrale in uno Stato democratico. I giudici di legittimità, in linea con la Consulta e con i giudici di Strasburgo, come con la stessa giurisprudenza della Suprema corte, affermano il principio di diritto secondo il quale «in tema di diffamazione, qualora la notizia abbia ad oggetto l’influenza della politica o di altri fattori sugli stessi mezzi di informazione, la scriminante di cui all’articolo 51 del Codice penale, deve essere vagliata tenendo conto dell’esigenza, portato essenziale di uno Stato democratico, di assicurare un pubblico dibattito sul pluralismo informativo, rinvenendosi, dunque, l’unico limite ad essa in un attacco aggressivo alla persona privo di ogni giustificazione nel contesto della più ampia critica politica che si vuole veicolare ai cittadini”.
Fonte: Il Sole 24 Ore